martedì 17 marzo 2020
Chiusi i pub. Ma a preoccupare il premier inglese è la tenuta (incerta) del Sistema sanitario
Immunità di gregge, BoJo si affida soltanto alla «prudenza»
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Nonostante il rischio legato alla diffusione del Coronavirus sia passato da “moderato” a “alto”, con un totale di 1.543 infezioni accertate e 55 morti, il Regno Unito continua a ostentare ottimismo e a ritardare l’adozione di misure drastiche per il contenimento dell’epidemia. Il governo di Boris Johnson, ieri, si è limitato a una “moral suasion” alla popolazione: lavorate da casa, se potete, evitate pub, ristoranti e spazi pubblici, restate nelle vostre abitazioni in caso di tosse e febbre. Non è ancora tempo, insomma, di “misure draconiane” come la chiusura delle scuole.

«Siamo molto vicini alla “rapida crescita della curva” dei contagi», sottolinea Chris Whitty, consigliere medico del governo, sottolineando che «le possibilità di morire di coronavirus sono basse». La principale preoccupazione dell’esecutivo britannico riguarda piuttosto la tenuta del sistema sanitario pubblico e il “significativo numero di decessi” per cause secondarie all’infezione da Covid–19. È questo il nodo che agita le apparenti calme acque del primo ministro Boris Johnson, impegnato a ribadire la determinazione del governo a «proteggere la vita» dei cittadini britannici e, in ugual misura, la sopravvivenza del «fantastico» sistema sanitario pubblico. I dati sono tutt’altro che rassicuranti: la terapia intensiva del Regno Unito ha una capacità totale di 6.6 posti letto per 100mila abitanti, la metà di quella italiana che è invece di 12.5. Problema ben noto da tempo agli operatori del settore che denuncia- no anche una significativa carenza di personale specializzato, aggravata negli ultimi mesi a casa delle restrittive misure sull’immigrazione imposte da Brexit.

I limiti strutturali dell’NHS hanno portato il ministro della Salute, Matt Hancock, a lanciare una “chiamata alle armi” a tutte le industrie manifatturiere britanniche non legate al settore medico e sanitario, come Ford e Rolls– Royce, a convertire parte della produzione per realizzare ventilatori polmonari. Come in tempi di guerra. La convulsa riorganizzazione della produzione di macchinari destinati ai reparti di rianimazione, unita alla conversione in unità di terapia intensiva di alcuni reparti ospedalieri, stride tuttavia con l’invito moderato «a evitare ogni contatto sociale non essenziale», raccomandazione valida in particolare per over 70 (circa 8.7 milioni di cittadini) e donne in gravidanza. Il governo si limiterà a partire da oggi a “non sostenere” più le manifestazioni collettive pubbliche, senza tuttavia, per il momento, bandirle completamente. Sullo sfondo della strategia di Boris Johnons contro il virus resta la controversa arma della cosiddetta “herd immunity”: combattere l’epidemia lasciando che il virus si diffonda nella popolazione perché sviluppi la cosiddetta “immunità del gregge”, anche a costo di numerose vittime.

BoJo è categorico: «Il nostro obiettivo è salvare vite». Non aggiunge nient’alto. I tecnici più ottimisti azzardano l’ipotesi che quella della “herd immunity” sia stata solo una strategia comunicativa mal riuscita, adottata per “insabbiare” in una comunicazione di crisi centrata sulle diverse accezioni di comunità decisioni, potenzialmente controverse, come quella, peraltro rilanciata da alcuni organi di stampa, di chiedere agli operatori sanitari di non rinunciare alla rianimazione degli anziani. La regina Elisabetta, intanto, ieri ha fatto sapere di non essere affatto in isolamento al castello di Windsor come lasciato intendere da qualche tabloid. La sovrana, 94 anni, sarà a Buckingham Palace per le sue consuete attività istituzionali.

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