giovedì 28 aprile 2011
La Corte di giustizia della Ue ha bocciato la norma italiana che prevede il reato di clandestinità. La norma - spiegano i giudici europei - è in contrasto con la direttiva europea sui rimpatri dei clandestini. Maroni: «Perché censurano solo noi?».
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Un reato impossibile. Non umano e non logico di Danilo Paolini
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L’articolo della legge Bossi-Fini che prevede l’arresto per l’immigrato clandestino che non lascia l’Italia dopo aver ricevuto il «foglio di via» dal questore contrasta con il diritto Ue e dunque non deve essere applicato. Con una clamorosa sentenza, ieri la Corte di giustizia Ue ha bocciato la normativa fortemente voluta dalla Lega Nord intimando anzi ai magistrati italiani di «disapplicarla». Una sentenza giunta in risposta a una domanda di pronuncia avanzata ai giudici Ue dalla Corte d’appello di Trento il 2 febbraio scorso con procedura d’urgenza: di qui la risposta in tempi record. Al centro la vicenda di un algerino, Hassan El Dridi, colpito nel 2010 da un ordine di allontanamento del questore. Non avendo lasciato l’Italia entro cinque giorni, era stato fermato dalle forze dell’ordine che lo avevano arrestato. Poi il tribunale di Trento lo aveva condannato in primo grado a un anno di carcere, sentenza contro cui ha fatto ricorso. In totale pendono altre 11 richieste analoghe inviate ai giudici Ue da vari tribunali italiani. La Corte Ue non lascia spazi a dubbi: la normativa italiana è in flagrante violazione della direttiva sui rimpatri varata nel 2008 con consenso unanime da tutti i governi Ue (Italia inclusa, che però non ha trasposto la norma nel diritto nazionale). Per la prima sezione, presieduta dall’italiano Antonio Tizzano, la direttiva Ue «deve essere interpretata nel senso che essa osta ad una normativa di uno Stato membro che preveda l’irrogazione della pena della reclusione al cittadino di un paese terzo il cui soggiorno sia irregolare per la sola ragione che questi, in violazione di un ordine di lasciare entro un determinato termine il territorio di tale Stato, permane in detto territorio senza giustificato motivo». Tradotto: anche se il diritto penale è competenza esclusiva degli Stati, una pena detentiva per il solo fatto che un clandestino espulso non abbia lasciato il Paese non è conciliabile con il diritto Ue. Punto e basta.Il principio di base, spiega la Corte Ue, è che «una tale pena detentiva (...) rischia di compromettere la realizzazione dell’obiettivo perseguito dalla direttiva, ossia l’instaurazione di una politica efficace di allontanamento e di rimpatrio dei cittadini di paesi terzi il cui soggiorno sia irregolare nel rispetto dei loro diritti fondamentali». Del resto, la stessa Corte Ue segnala che «la procedura di allontanamento italiana differisce notevolmente», dalla direttiva comunitaria. Basti dire che la norma Ue prevede una precedenza alla partenza volontaria, il trattenimento solo come ultima ratio e solo in casi estremi in carcere, e comunque per un periodo non superiore a 18 mesi (mentre la norma italiana arriva a quattro anni di reclusione), nonché le misure «proporzionate».La Commissione europea – che a gennaio aveva scritto all’Italia e ad altri 19 Stati membri che non hanno avevano uniformato la loro legislazione alla direttiva Ue entro il 24 dicembre 2010 – ieri ha espresso compiacimento per la sentenza «veloce e chiara», la quale «contribuirà a ridurre l’incertezza giuridica causata in Italia dalla mancata attuazione della direttiva sui rimpatri nei termini previsti». Immediate anche le reazioni politiche a Bruxelles. «Una debacle in piena regola», ha commentato il presidente degli eurodeputati del Pd David Sassoli. Per l’eurodeputato leghista Lorenzo Fontana, invece, «la credibilità dell’Europa si sta progressivamente erodendo, calpestando quelli che sono gli orientamenti della maggioranza dei cittadini».
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