venerdì 18 novembre 2016
Il social network professionale è stato oscurato perché non si è dotato di server per la conservazione di dati sul territorio nazionale, come richiesto da una legge 2014
Il Web (degli altri) fa paura Mosca blocca «Linkedin»
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Ecosì il Governo russo, approfittando della sentenza favorevole emessa da un tribunale di Mosca, ha deciso di bloccare Linkedin, il social network che ha più di 400 milioni di utenti ed è diventato famoso per agevolare i contatti professionali. La causa, o la scusa, è sempre quella: i server che contengono i dati personali degli utenti non si trovano in territorio russo.

La dirigenza di Linkedin si è detta disponibile a discutere la questione, ma intanto il blocco è stato decretato e farà sentire i suoi effetti. In questa decisione, come in una matrioska russa, si trovano uno dentro l’altro i riflessi di tre grandi problemi di questi anni. Il primo è la tendenza dei governi più centralisti e autoritari a temere gli spazi troppo aperti del Web, considerati troppo disponibili alle influenze dall’esterno. La Russia e la Cina fanno testo, in questo. Attenzione: la Cina ha dato vita al più grande sito per acquisti on line del mondo, Alibaba, il cui fatturato è superiore a quelli di Amazon ed eBay messi insieme. La Russia ha almeno tre social network autoctoni ( V Kontake, Ok.ru, Moi mir) che hanno più utenti russi del pur popolarissimo Facebook. Quindi questi Paesi non temono il Web, ma il Web degli altri.

La decisione contro Linkedin si muove quindi sulla scia dei provvedimenti presi per limitare le attività delle Ong finanziate dall’estero e, in generale, per limitare le influenze politiche esterne. La seconda bambolina è la guerra elettronica che le potenze si fanno e che è a tutti gli effetti un ramo di quella terza guerra mondiale a pezzetti di cui a suo tempo parlò papa Francesco. Anzi, questo è il pezzetto in cui le potenze si combattono direttamente, visto che la guerra elettronica fa danni ma non lascia morti o rovine troppo evidenti. Edward Snowden ci ha rivelato nel 2013 che l’intelligence americana era arrivata a mettere sotto ascolto i cellulari della Merkel e di Hollande, figuriamoci che cosa può aver inventato su (o contro) il Cremlino. D’altra parte l’attuale Governo Usa continua ad accusare la Russia di aver interferito, sempre per via elettronica, sull’esito dell’elezione presidenziale, valendosi di hacker capaci di penetrare, per esempio, i server del Partito democratico. È guerra, inutile chiamarla con altri nomi. E come tale prevede anche la censura delle ragioni dell’altro, del nemico.

La terza bambolina è per ora la più piccola e sta chiusa dentro le altre due, ma è quella destinata a contenerle tutte. Quanto influiscono i social network sulle grandi scelte di principio come sono quelle politiche? Durante la campagna elettorale Usa, il motore di ricerca Google è stato accusato di orientare le ricerche su Hillary Clinton in modo da dare agli utenti un’immagine sempre positiva della candidata.

Dopo la vittoria a sorpresa di Donald Trump è toccato a Facebook e Twitter finire sulla graticola, accusati di aver più o meno consciamente favorito il successo del miliardario, assai abile nell’usare i social network. Influenze perverse o legittimo marketing? La domanda si pone e ne genera altre: si deve trovare un modo per regolare tutto questo? E come eventualmente riuscirci, senza limitare le libertà personali? Il Cremlino l’ha fatto a modo suo, con un documento e una firma. Noi… vedremo.

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