venerdì 26 aprile 2013
​Per la prima volta Nikolic si scusa per il massacro. È però un mea culpa a metà, perché non parla di genocidio. La svolta è il prezzo per l'ingresso nell'Unione Europea. (Barbara Uglietti)
I gesti del capo serbo, i valori d'Europa di Andrea Lavazza
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Quando un anno fa si insediò come presidente della Serbia, disse che a Srebrenica non era stato commesso alcun «genocidio». Ieri, Tomislav Nikolic, ha chiesto perdono «in ginocchio» per quel massacro; «per i crimini commessi da qualsiasi individuo in nome del nostro Stato e del nostro popolo».Lo ha fatto nel corso di un’intervista alla Tv bosniaca Bhrt, che andrà in onda il 7 maggio ma di cui ci sono ampie anticipazioni su YouTube. Un mea culpa “a metà”, a dire il vero. Perché Nikolic, ancora una volta, e con tono per niente contrito, anzi a tratti irritato, ha insistito che è «tutto da dimostrare» che si sia trattato proprio di «genocidio». E solo incalzato dalle domande dell’intervistatrice si è prodotto nella parziale ammissione: «Tutto quello che è accaduto durante la guerra nella ex Jugoslavia aveva il marchio del genocidio». Resta il fatto che per la prima volta il presidente serbo, leader conservatore e nazionalista, ha chinato il capo, abbandonando i toni risoluti con cui, nel 2012, aveva iniziato il mandato. La “svolta” ha un evidente perché. Il 19 aprile è stato firmato lo storico accordo tra Serbia e Kosovo (mediato dalla Ue) per la regolarizzazione delle relazioni diplomatiche. L’accordo era considerato la precondizione per l’avvio di negoziati di adesione della Serbia all’Unione Europea. Bruxelles ha mantenuto la promessa, raccomandando, fina da subito, l’adesione di Belgrado. E Belgrado non intende mancare l’opportunità. Il “prezzo” è il riconoscimento di un’eredità dolorosa, concentrata in una parola sola – «genocidio» – che, pesante come una pietra, tiene ancorata la Serbia al suo passato. Una parola che le madri di Srebrenica voglio ascoltare forte e chiaro: «Non ci serve che qualcuno si metta in ginocchio per chiedere perdono – hanno detto ieri –. Vogliamo sentire il presidente serbo e la Serbia pronunciare la parola genocidio». Genocidio e crimini di guerra sono le accuse di cui il comandante serbo-bosniaco Ratko Mladic – arrestato nel maggio 2011 – deve rispondere di fronte al Tribunale Penale Internazionale per l’ex Jugoslavia dell’Aja. I documenti del processo non fanno che confermare l’atrocità di quanto avvenuto a Srebrenica, dove 8.000 civili musulmani sono stati massacrati nel luglio del 1995.Il veleno di tutto quell’odio non è ancora smaltito: il fatto che l’intesa Serbia-Kosovo sia stata accolta con forti proteste da migliaia di serbi lo rivela. Fare i conti con questa realtà non dev’essere facile. Soprattutto per un leader che ha fatto carriera grazie al sostegno del “Partito Radicale Serbo”, nazionalista di estrema destra. Nikolic si vede però costretto a guardare avanti. E ci prova. Con i fatti. E con i gesti. Secondo i media bosniaci, avrebbe promesso di visitare presto Srebrenica. Ma non l’11 luglio, anniversario del massacro. Un mea culpa «a metà». Un omaggio «con riserva».
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