mercoledì 29 giugno 2022
Vladyslav Shelokov, dell’ente caritativo della Chiesa greco cattolica: «Più della metà delle risorse sono destinate solo ai pacchi alimentari. Gli anziani sono la priorità»
Volontari distribuiscono cibo

Volontari distribuiscono cibo - Ansa

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l cibo è ancora la prima necessità per i nuovi “poveri di guerra”: sfollati, disoccupati, anziani rimasti soli. Un paradosso crudele in uno dei granai del pianeta. La sfida principale per Caritas Ucraina – ente caritativo della Chiesa greco-cattolica – è garantire almeno un pasto al giorno alle troppe vittime del conflitto. Ogni settimana l’organizzazione ne assiste 100mila, per un totale di oltre 1,2 milioni da febbraio. «Investiamo più della metà delle risorse nella donazione di pacchi alimentari.

Al contempo, però, siamo coscienti che l’assistenza immediata, per quanto necessaria, non è più sufficiente. L’emergenza si profila di lungo periodo. Le persone cercano una sostenibilità a lungo termine. Anche noi, dunque, dobbiamo I adattarci al nuovo scenario», spiega il portavoce Vladyslav Shelokov. Il quadro socio-economico è drammatico. Ben 16 milioni di ucraini – quasi la metà della popolazione – sopravvive grazie agli aiuti umanitari. Con metà Paese fermo – l’intera fascia orientale –, fabbriche e servizi bloccati, oltre la metà della forza lavoro è disoccupata.

E fra quanti hanno ancora un impiego, tanti – il numero esatto non si sa – sono in aspettativa obbligatoria senza salario, espediente ideato dalle aziende per evitare licenziamenti formali. «La riduzione del reddito e della capacità di spesa riguarda tutti. Pesa, però, con particolare forza sui settori più vulnerabili. A cominciare dagli anziani, da sempre una delle nostre priorità perché tanti percepiscono la pensione minima che si aggira intorno ai cinquanta euro. Oltretutto ora tantissimi hanno perso il sostegno dei familiari, fuggiti all’estero», aggiunge Shelokov mentre stende sulla scrivania dell’ufficio, al centro di Kiev, la mappa del Paese: «Le regioni di Chernihiv e Jitomir sono da sempre le più povere. Il conflitto ha ampliato la mappa della vulnerabilità all’intero nord-est dove gran parte di case e infrastrutture sono state distrutte».

Quello abitativo è uno dei grandi nodi dei prossimi mesi. «Dobbiamo ricostruire il più possibile ora. Settembre si avvicina e si spera che l’anno scolastico possa ricominciare. Gli sfollati dovranno, dunque, liberare gli istituti dove ora sono alloggiati. Il governo è al lavoro per offrire un’alternativa e noi cerchiamo di collaborare». Caritas ha esperienza nella realizzazione a tambur battente di prefabbricati, come dimostrano le 250 casette tirate su in fretta e furia a Irpin, cittadina alle porte di Kiev devastata da un mese di combattimenti. L’altra grande questione è il lavoro. «Stiamo cercando di promuovere microprogetti di piccola imprenditoria perché le persone abbiano almeno un reddito minimo.

È fondamentale perché possano andare avanti». Vi è, infine, una parte non piccola di Paese – circa il 20 per cento del territorio, in gran parte lungo il mare d’Azov, dal Lugansk al Kherson – avvolta da un cono spesso d’ombra. «Nelle zone occupate, Mosca ci impedisce di portare assistenza umanitaria. Dove eravamo presenti, come Mariupol e Melitopol, siamo stati cacciati. Non abbiamo idea, dunque, di come stiano i civili. Tanti, tantissimi sono intrappolati nei combattimenti. E nessuno può aiutarli».

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