sabato 5 gennaio 2019
In 27 accedono alla «finale». C’è Françoise Schepmans, per il lavoro a Molenbeek contro la radicalizzazione E Henriette Reker, per l’impegno a Colonia verso i rifugiati
Carmen Yulin Cruz, sindaca di San Juan (Puerto Rico)

Carmen Yulin Cruz, sindaca di San Juan (Puerto Rico)

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Ventisette donne, per venti Paesi, in rappresentanza di tutti e cinque i Continenti. Sono questi i numeri della short list del World Mayor Prize, il premio al miglior sindaco del mondo, assegnato ogni due anni dalla City Mayors Foundation, think tank con sede a Londra, che monitora e documenta il lavoro delle amministrazioni comunali a livello globale. Istituito nel 2003, con cadenza biennale, il riconoscimento per il 2018 (che verrà assegnato nella seconda metà di questo mese) si caratterizza per una particolarità: la fondazione ha deciso di dedicare il premio alle donne sindaco, accettando esclusivamente candidature femminili. L’obiettivo, come si legge on-line nei criteri di selezione, è dare visibilità al «contributo eccezionale e duraturo» che le prime cittadine «danno alle loro comunità».

Il premio è l’occasione per porre l’attenzione sulla realtà delle donne sindaco, che dalle metropoli ai villaggi sono presenti in tutto il mondo, impegnate nelle realtà più ricche del mondo così come in quelle più povere, sotto ogni forma di governo. Alla “short list”, annunciata a inizio settembre, si è arrivati scremando la “long list” di 62 donne, in rappresentanza di 36 Paesi, con tutte le candidature che sono arrivate on-line. Tra le ventisette finaliste, in cinque guidano altrettanti capitali: Carmen Yulin Cruz (San Juan, Puerto Rico), Muriel Bowser ( Washington, Stati Uniti), Anne Hidalgo (Parigi, Francia), Marianne Borgen (Oslo, Norvegia) e Souad Abderrahim ( Tunisi, Tu- nisia). Presenti anche donne sindaco che sono a capo di importanti centri economici, da Sydney (Clover Moore, Australia) a Zurigo (Corine Mauch, Svizzera).

Ognuna di loro rappresenta uno spicchio di realtà locale, che però si ripercuote anche al livello internazionale. C’è Françoise Schepmans (Molenbeek Saint-Jean, Belgio), selezionata perché «ha lavorato a stretto contatto con le famiglie musulmane per prevenire la radicalizzazione dei giovani»: la sua cittadina, alle porte di Bruxelles, è diventata nota in tutto il mondo per i legami con alcuni terroristi islamici che hanno colpito sia Parigi sia la capitale belga. Il rischio di cadere nel pregiudizio razzista del binomio immigrazione- terrorismo è tutt’altro che superato ed è così che Henriette Reker (Colonia, Germania), è stata scelta perché «nonostante gli attacchi conservatori e di destra, è rimasto risoluta nel suo sostegno ai rifugiati». Nella short list presente anche l’Italia, con il primo cittadino di Ancona: Valeria Mancitelli. Per lei la motivazione è legata al mondo del lavoro, poiché «durante il primo mandato, Ancona ha registrato una forte crescita economica». Non è rientrata, invece, tra le 27 finaliste l’altra italiana presente: Patrizia Barbieri, sindaco di Piacenza.

L’Africa, così come l’Oceania con Sydney, è rappresentata da un solo sindaco: Souad Abderrahim, da luglio alla guida di Tunisi, prima donna a ricoprire questa carica nella capitale tunisina. Nel Paese dove nel 2011 si è scatenata la Primavera araba, e l’unico dove il cammino democratico è al momento intrapreso, la motivazione della scelta di Souad è un messaggio che supera i confini nazionali, perché «la sua elezione incoraggerà le giovani donne in tutto il nord Africa a sfidare i domini maschili ». Non è invece entrata nella short list l’altra donna sindaco di una grossa capitale araba: Zekra Alwach (Baghdad, Iraq). In otto edizioni, in due casi il riconoscimento è andato ad altrettante donne: nel 2005 a Dora Bakoyannis, primo cittadino di Atene dal 2003 al 2006.

Determinanti per la sua vittoria, le Olimpiadi disputate nella capitale greca nel 2004. Nel 2008 il premio è invece andato a Helen Zille, dal 2006 al 2009 sindaco di Città del Capo (una delle tre capitali del Sudafrica). Leader dell’opposizione Alleanza Democratica, a lei si deve la denuncia degli sprechi di soldi pubblici da parte del Congresso Nazionale Africano, il partito di governo che fu di Nelson Mandela. È la più importante rappresentante politica bianca dell’era post apartheid.

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