martedì 18 ottobre 2022
Il presidente rivendica anche il successo sul fronte Covid. Ma spariscono i dati sulla crescita economica
Il presidente cinese Xi Jinping

Il presidente cinese Xi Jinping - Ansa

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Cinque anni fa svettava il termine “riforma”, utilizzato 68 volte. Ieri – in un discorso insolitamente “breve”, durato meno di due ore contro le tre ore e mezza del 2017 – nel vocabolario utilizzato dal presidente cinese Xi Jinping nel discorso di apertura del XX Congresso nazionale del Partito comunista cinese, primeggiava la parola “sicurezza”, utilizzata – secondo un conteggio effettuato dall’agenzia Reuters –, ben 89 volte. Una testimonianza di quanto il panorama sia cambiato dal precedente Congresso, quando Xi predicava la volontà di «creare amicizia e collaborazione» con i vicini della Cina e «tenere alta la bandiera della pace e dello sviluppo».
In cinque anni – come ha riassunto Asia Times – la Cina è stata etichettata dagli Usa come «rivale strategico», è stata ingaggiata in una guerra commerciale con Washington fino al duello sui chip, è passata attraverso il Covid che ha di fatto bloccato ogni ipotesi di riforma, per arrivare alla contrapposizione, proclamata ancora dagli Usa, tra le democrazie e le autocrazie.
In questo scenario radicalmente mutato, Xi – che si avvia a essere rieletto presidente per la terza volta consecutiva, cosa mia avvenuta prima nella storia del gigante asiatico – ha centrato la sua attenzione sul “dossier” caldo di Taiwan, il più applaudito dai 2.300 delegati presenti nella Grande sala del popolo. La riunificazione resta prioritaria per Pechino: «Noi – ha detto il presidente cinese – non abbiamo mai promesso di rinunciare all’uso della forza e ci riserviamo l’opzione per prendere tutte le misure necessarie». Un monito, però, «diretto solo contro le interferenze di forze esterne e dei pochi separatisti che cercano l’indipendenza di Taiwan». Da Taipei è arrivata la replica: «La sovranità territoriale, la democrazia e la libertà non possono essere oggetto di compromessi», ha rilanciato l’Ufficio presidenziale di Tsai Ing-wen, ricordando che è stato «espresso chiaramente che respingiamo con forza il modello “un Paese, due sistemi”. Che è lo schema per la restituzione nel 1997 dei territori di Hong Kong da Londra a Pechino, ma svuotato dalla legge sulla sicurezza nazionale imposta all’ex colonia nel 2020. Xi ha concesso grande spazio anche alle forze armate. Secondo il Pentagono, nel prossimo quinquennio sotto la guida di Xi, la Cina dovrebbe avere fino a 700 testate nucleari, mille entro il 2030. «La sicurezza nazionale come compito, la crescita economica come fondamento: proteggere la sicurezza e gli interessi cinesi in patria e all’estero, continuare la modernizzazione militare e mantenere la leadership del partito», sono i punti guida tracciati dal presidente cinese.
Tra i numerosi temi toccati, Xi, sulla lotta alla pandemia, ha rivendicato il pieno successo delle misure draconiane alla base dello “zero Covid dinamico”, malgrado i crescenti malumori nel Paese che sta scontando le restrizioni in termini sociali ed economici. «Abbiamo messo al primo posto le persone e le loro vite, lanciando una “guerra del popolo” contro il virus», ha aggiunto, senza prospettare possibili cambiamenti.
Sotto la superficie lucida, si agitano però molte “opacità”. A cominciare proprio dalla crescita economica, l’elemento chiave sui cui è poggiato il “patto sociale” tra il partito e il Paese. Ebbene il motore dell’economia cinese sta rallentando. Non sembra un caso che il governo abbia rinviato diffusione dei dati sul Pil relativi al terzo trimestre, senza fornire una spiegazione. Gli economisti prevedono una crescita su anno del 3,5%, mentre per il trimestre si prevede una contrazione, dopo che il Pil nel secondo trimestre è cresciuto solo dello 0,4%.

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