giovedì 5 maggio 2016
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Il “generalissimo” Khalifa Haftar sembra intenzionato ad andare fino in fondo. Per conquistare visibilità, un ruolo forte nel Paese, e in aperta sfida al governo del premier Fayez al-Sarraj. Ieri ha ufficialmente ordinato l’inizio di un’operazione militare che, nelle dichiarate intenzioni del capo delle forze di Tobruk, dovrebbe portare alla «liberazione di Sirte», la “roccaforte” del Daesh in Libia. Spostamenti in direzione di Sirte erano stati segnalati già una settimana fa. Subito il premier Sarraj, nel tentativo di disinnescare nuove tensioni nel Paese, aveva chiesto al generale di interrompere l’operazione in attesa di coordinarla con le milizie di Misurata (rivali di Haftar), che attendevano di attaccare da ovest. Ma il capo delle forze armate libiche – ex ufficiale dell’era Gheddafi poi caduto in disgrazia e riparato negli Usa per sfuggire al rais – ha deciso di andare avanti. Evidentemente determinato a confermarsi come l’uomo forte della nuova Libia e quindi per niente disposto ad accettare un governo in cui non è stato incluso. Il suo ruolo continua dunque a rappresentare l’ostacolo più grande nel percorso di normalizzazione del Paese. Di certo, è l’ostacolo che sta ritardando la concessione della fiducia all’esecutivo di unità da parte del Parlamento di Tobruk. Una sorta di ultimatum di dieci giorni posto dall’inviato speciale Onu per la Libia, Martin Kobler, per ottenere il varo del governo è passato, ieri, senza alcun voto: il presidente del parlamento, Aqila Saleh, si è fatto segnalare martedì sera in Costa d’Avorio per una riunione di due giorni dell’Unione parlamentare africana, sottolineando così la velleità di un tentativo fatto da deputati filo-Sarraj di votare la fiducia lontanissimo da Torbuk, a Ghadames, al confine con Tunisia e Algeria. (
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