domenica 6 febbraio 2022
La situazione più grave si registra nell’area tra Etiopia, Somalia e Kenya: il riscaldamento climatico ha indotto la peggiore crisi per mancanza d’acqua da 35 anni
La sete provoca sfollati interni che scappano dalle terre bruciate: nella sola Mogadiscio nel 2021 ne sono arrivati 245mila. Il vescovo di Gibuti, Giorgio Bertin assiste in prima persona al dramma: «Finché non avremo stabilità non si potranno fare grandi azioni»

La sete provoca sfollati interni che scappano dalle terre bruciate: nella sola Mogadiscio nel 2021 ne sono arrivati 245mila. Il vescovo di Gibuti, Giorgio Bertin assiste in prima persona al dramma: «Finché non avremo stabilità non si potranno fare grandi azioni» - Ansa

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La grande sete del Corno d’Africa sta mettendo in fuga nell’indifferenza globale milioni di persone e sta minando il futuro di una generazione che lotta per sopravvivere. Che, secondo le previsioni del 2019, doveva crescere in questo decennio con un tasso di sviluppo a doppia cifra. Invece il Covid, i cambiamenti climatici e la guerra civile in Etiopia hanno mutato bruscamente lo scenario e rimesso in moto verso l’Europa, l’Africa e i Paesi del Golfo importanti flussi migratori destinati a crescere come le emergenze umanitarie. Circa 20 milioni di persone tra Etiopia, Somalia e Kenya – dichiarano per una volta concordi tutte le agenzie Onu e molte Ong internazionali – rischiano di morire per la peggiore siccità degli ultimi 35 anni e per i conflitti. Uno scandalo dimenticato dai media.

La drammatica scarsità di acqua dimostra una volta di più che la regione è la più esposta nel pianeta ai mutamenti climatici. Sono saltate consecutivamente tre stagioni delle piogge, all’aridità sono seguite in alcune aree precipitazioni anomale che hanno provocato alluvioni mai viste e fatto crescere un numero record di locuste che hanno assaltato i pochi raccolti rimasti. Tutto questo sommato alle guerre in una delle aree più povere e calde del globo, dilaniata dalla guerra civile in atto nel nord dell’Etiopia da 15 mesi, dall’eterno conflitto somalo a “bassa intensità” mentre ai confini del Corno non conoscono pace il Sudan dilaniato da una crisi politica quasi biennale e il Sud Sudan. Il rischio ulteriore è che le tensioni tra Sudan ed Egitto da una parte ed Etiopia dall’altra per la Grande diga sul Nilo sfocino in un conflitto per l’“oro blu”.

Addis Abeba non vuole infatti regolare il flusso di acque del fiume che vuole usare per elettrificare il Paese, ma l’agricoltura e quindi la sopravvivenza delle popolazioni rivierasche sudanesi ed egiziane dipendono dalla capienza dell’invaso. Nonostante le mediazioni internazionali un accordo pare lontano. La stessa Etiopia è stata colpita dalla grande sete. Quasi sette milioni di persone hanno bisogno di urgente assistenza umanitaria a causa della siccità nelle regioni pianeggianti dell’Afar, Oromia e dei Somali (l’ex Ogaden). Per sopravvivere stanno prosciugando i pozzi d’acqua e uccidendo il bestiame mentre i raccolti sono perduti. Centinaia di migliaia di famiglie sono sull’orlo del baratro. A questi si aggiungono i 9 milioni colpiti dalla carestia provocata dal conflitto e dal blocco degli aiuti in Tigrai, la stessa Afar e l’Amhara. «L’impatto della siccità è devastante – dice Gianfranco Rotigliano, rappresentante dell’Unicef in Etiopia – i bambini e le loro famiglie lottano per sopravvivere e si prevede che più di 6,8 milioni di persone avranno bisogno di assistenza umanitaria urgente entro un mese».

La mancanza di acqua pulita sta diventando pesante e la sicurezza alimentare si sta deteriorando rapidamente in Oromia e nelle regioni dei Somali per circa 4,4 milioni di persone. La sete uccide. Quest’anno circa 850.000 bambini soffriranno di malnutrizione causa siccità insieme a 100.000 donne in stato di gravidanza. I bambini costretti a bere acqua contaminata sono esposti a varie ma-lattie, fra cui la dissenteria, una delle principali cause di morte sotto i 5 anni. In Somalia la situazione è peggiore. Più di sette milioni di persone, quasi metà della popolazione, vivono in situazione di emergenza umanitaria.

Per Save the Children il 70% delle famiglie somale è priva di acqua potabile. «La Somalia è tra i Paesi più vulnerabili rispetto ai cambiamenti climatici.– conferma monsignor Giorgio Bertin, vescovo di Gibuti e amministratore apostolico di Mogadiscio –. Ha subito alluvioni, invasioni di locuste e periodi secchi, ma una siccità simile non si vedeva da 30 anni. I livelli dei fiumi Giuba e Scebeli (il grande “fiume dei leopardi” che nasce in Etiopia) sono bassi e probabilmente diminuiranno ».

La sete provoca sfollati interni che dalle terre bruciate fuggono verso la capitale. Secondo il Norwegian Refugee Council a Mogadiscio nel 2021 sono arrivati nel 245.000 somali causa siccità. Entro l’anno la cifra è destinata a quintuplicarsi. Il dramma è acuito dalla instabilità politica che fraziona lo Stato tra clan e milizie ostacolando i progetti. La Caritas somala riesce a formare agricoltori nel Puntland, ma il sud non è raggiungibile. La Somalia è uno dei 5 punti dell’Africa subsahariana dove si concentra la guerriglia dei miliziani islamisti che continuano a colpire nonostante la presenza di truppe Onu accanto a quelle governative. «Finché non avremo stabilità non si potranno fare grandi azioni contro la siccità – prosegue il vescovo Giorgio –. Sarà importante capire come si muoveranno gli attori internazionali come Qatar, Arabia, Emirati Arabi, Turchia, che lì hanno interessi e influssi predominanti.

Poi Ue e Usa, che hanno preferenze politiche. La speranza è che venga eletto un presidente, che sia al più presto formato un governo e che tutti si mettano a servizio del bene comune». È l’ultima possibilità per la Somalia e i suoi figli che clima e guerra stanno uccidendo.

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