giovedì 5 maggio 2016
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I peshmerga curdi respingono l’offensiva: la liberazione ora è possibile La campagna militare contro Daesh «è tutt’altro che finita». Non c’è spazio per rodomontate belliche nelle parole di Ash Carter, numero uno del Pentagono. Il terzo morto statunitense sul fronte iracheno ricorda a tutti che la campagna per la riconquista di Mosul non sarà facile. Il Daesh è sulla difensiva, ma vende cara la pelle. Per rallentare l’accerchiamento del cuore strategico dell’Anbar, il Califfato ha cambiato modus operandi. Ha eletto le città di Hit, Rawa, Anah, al-Qaim e Mosul a baluardo difensivo. Ma non disdegna colpi di coda e mini-offensive. Il 3 maggio, ha mandato all’assalto diverse colonne di combattenti, con la tattica dei veicoli esplosivi. Le posizioni dei peshmerga hanno vacillato in più punti, cedendo a una trentina di chilometri a nord di Mosul. I jihadisti hanno prima distrutto un checkpoint, poi conquistato il villaggio cristiano di Teleskof, evacuato dalla popolazione nel 2014. La battaglia è andata avanti per tutta la notte. Coperti dai caccia-bombardieri statunitensi e da alcuni droni, i peshmerga hanno contrattaccato quasi subito, riespugnando ieri stesso Teleskof. Avevano dalla loro anche milizie cristiane, molto motivate perché perseguitate ovunque da Daesh e costrette alla fuga dall’inferno di Mosul, due anni fa. Ma che cosa sta succedendo in Iraq dopo la riconquista di Ramadi, completata a febbraio? Le forze di sicurezza irachene stanno imbastendo una duplice offensiva in due direzioni: la prima lungo l’Eufrate, verso Hit. La seconda nella valle del Tigri, verso Mosul. Sul primo asse ci sono buoni risultati. E l’obiettivo di Hit è praticamente accerchiato. I flussi logistici di Daesh sono semi-paralizzati dalla caduta di Muhammadi e Kubaysah. A nord il discorso è più complicato. A meno di un implosione improvvisa del Daesh è difficile che Mosul cada entro il 2016. Con 130mila uomini e 15 brigate, gli americani avevano impiegato un anno per risalire il Tigri e l’Eufrate (2004-2005). In pratica, gli iracheni sono all’inizio dell’opera. Partendo dalla città di Makmur, in territorio curdo, sono oggi attestate sul fronte di Qayyarah, una delle difese concentriche che il Califfato ha eretto intorno alla capitale. Quando il cappio si stringerà, il Daesh ripiegherà sulla città con molte delle brigate oggi sparpagliate su un territorio vastissimo. Si stima che potrebbe “blindare” Mosul e dintorni con un massimo di dieci brigate, ognuna formata da un migliaio di uomini e 150 veicoli. Intanto ha già tagliato le connessioni tv satellitari in tutta l’area urbana. Ecco perché bisognerà mettere in campo non meno di 30mila uomini, affiancati da consiglieri occidentali. Il Daesh ha pochi materiali pesanti. Ma sa difendere molto bene ed è abile tatticamente. Anche gli italiani ne dovranno tener conto. Sembra che l’operazione Prima Parthica non ruoterà solo intorno a Erbil, ma si sdoppierà anche Mosul, nell’area intorno alla diga sul Tigri. Entro fine primavera, 450 uomini della brigata Garibaldi proteggeranno i tecnici della ditta Trevi, incaricati della manutenzione dell’infrastruttura. Così sembra ufficialmente. Nei fatti si profila come verosimile un ruolo combat degli italiani nell’offensiva finale di Mosul. Gli americani lo invocano da tempo. Non è che vogliono una contropartita per il sostegno in Libia? Il dispositivo che arriverà in Iraq la dice lunga. Secondo diverse fonti saranno della partita elicotteri d’attacco, cingolati da combattimento, carri e artiglierie pesanti. Un po’ troppo (e caro) per difendere solo una settantina di tecnici e maestranze. © RIPRODUZIONE RISERVATA
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