venerdì 13 maggio 2016
COMMENTA E CONDIVIDI
Con 55 voti a favore e solo 22 contro, il Senato ha dato il via libera alla messa in stato d’accusa. La ex guerrigliera è determinata a lottare: «È un’ingiustizia, ma ce la farò anche questa volta». Dubbi sulla tenuta del nuovo esecutivo che include esponenti di nove partiti e alcuni nomi «discutibili» È uscita dalla porta principale del Palazzo di Planalto con passo fermo. Il messaggio a giorna-listi, radunati in massa, e opinione pubblica è chiaro: non è un addio. Almeno non ancora. Dilma Rousseff, guerrigliera durante la feroce dittatura militare, non è pronta ad arrendersi. Anzi, è decisa a tornare alla presidenza. Lo ha detto chiaramente ieri: «Il destino mi ha riservato sfide impegnative. Alcune sembravano insuperabili. Eppure ce l’ho sempre fatta». Poche ore prima – al termine di una seduta fiume –, il Senato aveva votato con 55 sì e 22 no il via libera alla messa in stato d’accusa nei confronti della leader. Rousseff, del Partido dos trabalhadores (Pt), dunque, è stata rimossa temporaneamente dall’incarico: entro i prossimi sei mesi, sempre il Senato, a maggioranza assoluta, dovrà decidere se il capo dello Stato è colpevole di aver ritoccato i conti pubblici per vincere le elezioni del 2014. In quest’ultimo caso, l’allontanamento dal potere sarà definitivo. Nel frattempo, il Brasile avrà una «presidente fantasma» – secondo l’espressione degli analisti politici brasiliani – e un leader in funzione ma a termine, Michel Temer, esponente del Partido do movimento democrático brasileiro (Pmdb), vice di Rousseff e poi suo accanito rivale. A quest’ultimo, entrato in carica ieri, dopo il giuramento, si prospetta un compito arduo. La crisi economica non accenna a allentare la pressione sul Gigante latino. E il primo giudizio dei mercati – Moody’s in testa – è apparso fin troppo cauto a chi sperava un chiaro sostegno della finanza al nuovo presidente. Anche il gabinetto di 21 ministri, appena designato, ha provocato reazioni contrastanti. Temer ha scelto vari collaboratori di Lula e Rousseff, da Romero Jucá (Pianificazione e sviluppo) a Geddel Viera Lima (segretario dell’esecutivo) a Leonardo Picciani (Sport) a Eliseu Padilha (capo di gabinetto), mentre ha affidato il portafoglio chiave delle Finanze a Henrique Meirelles, presidente della Banca centrale durante i primi due esecutivi del Pt. Nella lista, spiccano, però, anche alcuni nomi controversi come quello de re della soia, Blairo Maggi, designato come responsabile dell’Agricoltura, o Sérgio Etchegoyen (Sicurezza). Questi è figlio di un militare legato alla dittatura, mentre Maggi è stato tra i più intransigenti sostenitori dell’agrobusiness a discapito delle terre indigene. L’esecutivo – che include esponenti di nove partiti e, per la prima volta dal ritorno della democrazia, nessuna donna– si presenta come il risultato di un compromesso tra forze differenti. Il che non ne agevola la stabilità. Anche perché lo stesso Temer potrebbe rischiare l’impeachment per corresponsabilità nelle azioni di Rousseff, in quanto suo vice all’epoca dei fatti. Il futuro, dunque, è appeso al mutevole umore del Congresso. La tenuta dell’esecutivo dipende in gran parte dalla capacità di mediazione di Temer. Quest’ultimo è un politico navigato ma i margini sono stretti. Per ridurre l’inflazione, al 9,2 per cento, il debito pubblico, a oltre 70 per cento del Pil, e la disoccupazione, a quota 10 per cento, il presidente dovrà fare una serie di tagli, attirandosi l’ira dei gruppi sociali più disagiati, istigati dal Pt. Il partito di Rousseff è determinato a non rendere facile la vita del governo Temer. «Mobilitatevi contro il golpe» ha tuonato la leader prima di lasciare il Planalto. Il ricorso alla piazza è uno dei due pilastri della strategia della formazione per il contrattacco. L’altro, già deciso in una riunione di vertice, è una maratona internazionale di Rousseff per denunciare all’estero «l’illegalità dek golpe». Il fermento, nelle prossime settimane e mesi, rischia di crescere ulteriormente. Per questo, il segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, si è affrettato a esortare i brasiliani «alla calma e al dialogo costruttivo». Mentre l’arcivescovo di Rio, il cardinale Oraní Tempesta, in un intervista a Radio Vaticana ha fatto un appello «alla pace sociale» e al dialogo. © RIPRODUZIO NE RISERVATA
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: