mercoledì 23 marzo 2016
​L'esperto Vidino: «Colpire l'Europa significa fare aumentare la pressione»  L'intento è rendere «politicamente costoso l'intervento occidentale in Siraq».
Il Califfato assediato si fa globale
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Bruxelles 2016 come Madrid 2004. «Il duplice attentato del Daesh nella capitale belga sembra rispondere, almeno in base agli elementi emersi finora, al medesimo intento di quello messo a segno da al-Qaeda nella stazione di Atocha: aumentare la pressione sull’Occidente». Per Lorenzo Vidino, esperto internazionale di terrorismo e direttore del Programma sull’estremismo alla George Washington University, esiste una sorta di “grammatica comune” del terrore. Anche se a colpire sono organizzazioni differenti, dunque, le strategie, spesso, si ripetono. «Il punto è semmai perché». Ecco, analizziamo il perché. Che messaggio vuol mandare il Califfato colpendo la città-simbolo dell’Europa? Questi attacchi sono l’ultima dimostrazione di un cambiamento di strategia iniziato dal Daesh un anno e mezzo fa. Ovvero dal coinvolgimento occidentale in Iraq e Siria. Il Califfato si è sentito minacciato su quello che considera il proprio territorio. E ha deciso di rispondere, colpendo nel cuore dell’Europa. Il che non vuol dire che se non fossimo intervenuti, gli uomini di al-Baghdadi non avrebbero mai attaccato al di fuori del Medio Oriente. Non l’avrebbero fatto breve periodo, ma nel medio lungo lo scontro sarebbe stato inevitabile. Dietro gli attacchi, c’è molto più, dunque, di una vendetta per la cattura di Salah... Non è escluso che l’arresto abbia accelerato la reazione jihadista. Sia in termini di ritorsione. Sia perché, sentendosi a rischio per la presunta collaborazione di Salah con le autorità, la cellula potrebbe aver deciso di anticipare un attentato già in cantiere. Il Daesh ha scelto, in ogni caso, dei luoghi fortemente simbolici: una fermata della metro nel percorso che conduce alle sedi delle istituzioni Ue, una parte dello scalo internazionale e precisamente il terminal da cui partono i voli per gli Usa. Il messaggio “subliminale” è: «Smettete di combatterci sul “nostro territorio”, perché possiamo portare la guerra nelle vostre case». L’obiettivo è rendere “politicamente costoso” ai governi europei e a quello statunitense, l’impegno anti-Daesh in Siria e in Iraq. In tal modo, però, il Daesh non rischia di trasformarsi in al-Qaeda, cioè di diventare una nuova “centrale del terrore globale”?Non credo che l’eventualità dispiaccia alla leadership del Califfato. Quest’ultima mantiene con una certa abilità un doppio binario. Da un lato, ha creato e ora cerca di difendere la propria base territoriale nel Siraq. Dall’altra “dirige” ormai un insieme di cellule che agiscono a livello internazionale. In effetti, sembra che gli attentati di Bruxelles siano stati organizzati a Raqqa. Non stiamo più parlando di “lupi solitari”… Il fatto che in Belgio abbiano agito due commando, indica un certo grado di pianificazione. Non è una novità, l’abbiamo già visto con Parigi. E riguarda il nuovo tipo di relazione che il Daesh sta instaurando con i cosiddetti foreign fighters, gli affiliati occidentali nelle file del Califfato. A questi ultimi, date le difficoltà di raggiungere Raqqa e Mosul, viene chiesto di agire in patria. Non solo in modo generico, anche se la propaganda di “colpire in ogni modo”, rivolto alla massa di simpatizzanti occidentali, è tuttora forte. A molti degli aspiranti jihadisti, in procinto di partire o già arrivati in Siraq, viene ordinato di restare o tornare, per realizzare attacchi in grande stile per provocare vittime a “casa propria”. Che intensità ha il fenomeno dei foreign fighters? Una stima degli affiliati in Europa e negli Usa è difficile. Si calcola che seimila foreign fighters siano stati in Siria. Non si sa, però, quanti di essi siano rientrati. Il Belgio ha un’alta percentuale di combattenti stranieri in rapporto alla popolazione. Secondo i dati più accreditati, sarebbero partiti in 550. Di questi, 150 sarebbero tornati e sarebbero, dunque, attentatori dormienti. Un numero difficile da gestire per un Paese come gli Stati Uniti, figuriamoci per il piccolo Belgio, in cui oltretutto l’antiterrorismo conta con poche forze e uno scarso coordinamento a livello europeo...
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