giovedì 5 aprile 2012
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​La notizia sorprende i brasiliani prima di tutto e balza continuamente agli onori delle cronache: nel Paese del Samba ormai, un professionista può guadagnare anche l’85 per cento in più che nelle nazioni europee o negli Stati Uniti. Il boom economico in Brasile da una parte e la grave crisi economica europea dall’altra, hanno spinto decine di migliaia di immigranti provenienti dalla Spagna, dal Portogallo, dall’Inghilterra dagli Stati Uniti e dall’Italia primi fra tutti, a cercare un opportunità di lavoro oltre oceano. Il Paese, che fino a ieri era considerato uno fra i maggiori esportatori di immigranti clandestini, ha incaricato la Segreteria per gli affari strategici (Sas) di allestire un’apposita squadra con l’obiettivo di studiare come flessibilizzare la concessione di visti di lavoro agli stranieri qualificati sempre più propensi a cercare un opportunità di lavoro nel gigante sudamericano. «L’idea – ha spiegato l’economista Ricardo Paes de Barros, coordinatore del progetto – è di stendere un tappeto rosso agli europei e agli americani disoccupati per la crisi e stabilire, invece, del limiti all’entrata di chi sta immigrando in Brasile soprattutto per sfuggire alla povertà».Anche se il prodotto interno lordo (Pil) del Brasile è crollato dal 7,5% del 2010 al 2,7% del 2011 (sotto la media mondiale che si attesta al 3,8%) e le previsioni per il 2012 non superano il 3,5%, il Paese è a un passo da superare la Francia e diventare la quinta economia del Pianeta. L’anno scorso il governo ha generato oltre un milione e mezzo di posti di lavoro; ma per far crescere l’industria, che partecipa al Pil per meno del 15% (un livello quasi pari a quello del 1956), il Paese ha bisogno di mano d’opera specializzata e, soprattutto, di professionisti e manager di alto livello. Per questo la squadra della Sas, ancora prima che il progetto sulla nuova politica migratoria entrasse in vigore, ha concesso, nei soli primi 9 mesi dell’anno scorso, 51 mila permessi di lavoro, il 32 per cento in più rispetto al 2010.Fino a ieri, per ottenere un visto di lavoro in Brasile uno straniero doveva affrontare un vero e proprio calvario burocratico, attenuato appena se si trattasse di un espatriato per conto di una multinazionale che pure doveva inquadrarsi in una rigida proporzione fra lavoratori stranieri e brasiliani.

Una ricerca realizzata dalla Camera di commercio internazionale (Cci) per stabilire quali sono le economie più protezioniste in 75 Paesi, mostra che il Brasile si trova ancora a un deludente 65° posto ed è il più protezionista anche fra i membri del G20. Ma il Paese si è finalmente reso conto, mettendo da parte in buona misura anche il forte orgoglio nazionalista, che il suo ritmo di crescita economica non è sostenibile senza tecnici, professionisti e manager capaci di portare l’industria e la produzione nazionale a un livello competitivo non solo localmente ma nell’ambito dell’economia globale.Duval Fernandes, professore della Pontificia università cattolica del Minas Gerais (Stato che ospita gli stabilimenti della Fiat), spiega che la legge sull’immigrazione risale agli anni della dittatura e deve essere urgentemente aggiornata per far fronte alla domanda: «In appena tre anni la richiesta di permessi di lavoro da parte di stranieri qualificati è aumentata del 30%, e il 65% dei richiedenti è in possesso di una laurea». Solo per citare un esempio, negli ultimi quattro anni, il numero di spagnoli fuggiti dalla crisi e approdati in Brasile è aumentato del 45 per cento. Per la prima volta in tre decenni la Spagna, una delle nazioni europee più castigate dalla depressione economica, ha avuto un flusso migratorio più alto in uscita che in entrata. Una situazione simile si è verificata con il Portogallo. L’anno scorso sono entrati in Brasile 50 mila portoghesi che, per ragioni linguistiche, restano un serbatoio privilegiato di mano d’opera per l’industria brasiliana. Non si sa quanti immigrati stranieri cerchino lavoro in Brasile senza permesso, ma è certo che il numero è sempre stato consistente. Tanto che nel 2009 il governo del presidente Lula decretò una sanatoria, la terza dalla fine degli anni Ottanta, che permise a ben 45 mila stranieri di regolarizzare la loro permanenza nel Paese. Ma questa migrazione di massa al contrario, pur avendo ormai dei contorni epocali, ha un pericoloso rovescio della medaglia per l’economia brasiliana. «Assumere uno straniero per un incarico di alto livello è un’opzione sostenibile in un momento in cui l’economia è in forte espansione – spiega Antonio Gil, presidente dell’Associazione brasiliana delle industrie del settore della tecnologia dell’informazione – ma sul lungo termine il Paese può perdere mercato perché si ritroverà sempre più dipendente da una classe dirigente importata. Al contrario, dovrebbe aumentare l’investimento nell’istruzione per formarne al più presto una propria».Il gap tra i professionisti brasiliani e quelli a pari livello reclutati in nazioni europee o negli Stati Uniti è spesso difficile da colmare. Il livello di preparazione, nella maggioranza dei casi, non è paragonabile. Ma l’istruzione, una fra le più deplorevoli dell’America Latina, per il ricco Brasile, non è ancora una priorità.

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