sabato 28 agosto 2021
Esaurita la fase delle stragi compiute per minare l'intesa di Doha, il gruppo terroristico cerca in Afghanistan la resa dei conti con gli eredi di Benladen
Il video di uno degli attentatori del Daesh che ha colpito all'aeroporto di Kabul

Il video di uno degli attentatori del Daesh che ha colpito all'aeroporto di Kabul - Ansa

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La filiale del Daesh in Afghanistan è pronta ad adottare una nuova strategia. Gli uomini della cosiddetta “Wilaya del Khorasan” aspetterebbero infatti la fine della presenza delle truppe Nato convinti che tra pochi giorni si apriranno molti varchi. Fino a ieri, infatti, la filiale operava contemporaneamente su tre fronti diversi: contro le truppe della coalizione internazionale, contro le forze governative del presidente Ashraf Ghani e contro i taleban, che con i nemici giurati di al-Qaeda hanno stretto un’alleanza di sangue. Una situazione questa che se, da una parte, permetteva a un gruppo tutto sommato minoritario (si parla di 2-5 mila uomini) di segnare dei punti quale che fosse il “target” colpito, dall’altra gli impediva di espandere il suo controllo militare oltre una determinata roccaforte. Quest’ultima si può grosso modo individuare in alcune zone montane delle province di Nangarhar e di Kunar, sul confine con il Pakistan, dove gli americani sganceranno nell’aprile del 2017 la «madre di tut- te le bombe».

Nel novembre del 2019 il governo afghano ha dichiarato la «disfatta definitiva » del Daesh nel Paese in seguito a una grande operazione congiunta con le forze della coalizione internazionale. Ma il peggio doveva ancora arrivare. Con l’obiettivo di intralciare il processo di pace inter-afghano di Doha e screditare ulteriormente il governo di Ghani e dimostrare l’impotenza americana, i kamikaze del Daesh-K seminano nuovamente il terrore, attaccando obiettivi prettamente civili, come l’Università di Kabul (25 morti, in gran parte studenti) e il tempio sikh della capitale (altri 25 morti). In fondo, al gruppo interessava che le sue carneficine, riprese dai media, raggiungessero la più ampia platea possibile. Via le truppe Nato, caduto il governo di Ghani, il Daesh non può non cogliere l’occasione di rialzare la testa. Tanto meglio se, con gli sviluppi degli ultimi mesi, era sfumata anche l’idea di mantenere nel Paese 2-4 mila soldati delle forze speciali Usa per continuare la lotta contro i jihadisti di ogni sigla. Il Daesh-K può finalmente concentrarsi su un solo nemico: i taleban. O meglio, su al-Qaeda che si trincera dietro i taleban. Un ritorno, questo, alla “missione” originale del gruppo. La Wilaya del Khorasan era, infatti, nata nel 2015 per contrastare l’autorità di Ayman al-Zawahiri sul “suo” territorio afghano-pachistano. Infatti, e fino al 2019 quando sono state create specifiche Wilaya per l’India e il Pakistan, il Khorasan comprendeva anche questi due Paesi. Carica di significato apocalittico la stessa scelta del nome.

Un hadith (detto di Maometto) recita: «Se vedrete le bandiere nere sorgere dal Khorasan, giurate fedeltà, poiché tra di esse ci sarà il califfo di Dio, il Mahdi». Con le loro bandiere nere, i seguaci locali di Abu Bakr al-Baghdadi hanno raccolto un miscuglio di membri del Movimento islamico dell’Uzbekistan, reclute venuti dal Pakistan e di locali afghani, principalmente secessionisti taleban. I loro leader, intanto, cadevano uno dopo l’altro. Il primo “emiro”, Hafez Said Khan, è stato eliminato nel 2016 da un drone americano. Altri successori si sono alternati fino all’ultimo, Abu Omar al-Khorasani, sollevato dall’incarico poi catturato dalle forze governative afghane, sarebbe stato assassinato pochi giorni fa dai taleban in un carcere di Kabul. L’attuale leader si fa chiamare Shehab al-Muhajir, ossia l’Emigrato. Si tratta probabilmente di uno dei reduci arabi giunti dagli ex territori del Daesh in Siria e Iraq.

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