sabato 26 marzo 2016
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Pérez Esquivel: l’accesso agli archivi? Passo sulla scia del Papa «È vero che l’elefante è più forte. Ma è anche vero che le formiche sono più numerose ». Non ha cambiato idea Adolfo Pérez Esquivel. Anzi, cinque decenni di lotta non violenta in difesa dei diritti umani in Argentina e in America Latina, l’hanno reso più determinato che mai a «resistere nella speranza». E nella ferma convinzione che «Dio non uccide». Il futuro Nobel per la Pace scoprì quest’ultima frase nella cella in cui l’ultima dittatura militare argentina lo rinchiuse per 14 mesi. L’aveva scritta con il proprio sangue un prigioniero anonimo. In quelle parole, Pérez Esquivel vide «un atto estremo di amore, di spoliazione, di coraggio». Di fede in un Dio nella vita più forte di ogni violenza. E tale consapevolezza – come ha più volta raccontato – l’aiutò a sopportare le torture degli aguzzini, con tanto di esecuzione annullata all’ultimo per le pressioni internazionali. A 85 anni, il Nobel resta un “guerriero della pace”, oltre che “una bussola morale” per il Paese e l’intera America Latina. Forte di tale credibilità, quando ha saputo che il presidente Barack Obama sarebbe stato a Buenos Aires il 24 marzo – 40esimo anniversario del golpe militare che diede inizio al regime e ai suoi 30mila desaparecidos –, Pérez Esquivel ha preso carta e penna per chiedere al “collega Nobel” di evitare la visita all’ex centro clandestino della Escuela Mecánica de la Armada (Esma), epicentro simbolico della repressione. «Non ero contrario al viaggio di Obama», afferma. Poiché gli Stati Uniti e la loro politica di ingerenza anti-comunista, però, hanno alimentato e sostenuto la dittatura in Argentina e nel resto del Continente, «l’ho avvertito che la sua presenza avrebbe potuto ferire la sensibilità di molti attivisti per i diritti umani. L’ho dunque esortato a scegliere un altro luogo». E il presidente degli Stati Uniti le ha dato retta. Il 24 ha reso omaggio ha reso omaggio alle vittime del regime nel Parque de la Memoria, dove ha proclamato il suo: “Nunca Más” (Mai più). Una scelta saggia. Che indica una differenza rispetto al modus operandi classico degli Usa in America Latina: imporre – dalle politiche economiche alle basi militari –, senza dialogare. Il fatto è che Obama sa utilizzare qualcosa di raro nei politici: il senso comune, il meno comune dei sensi. Secondo alcune organizzazioni per i diritti umani, il “mea culpa” di Obama per il ruolo degli Usa nei confronti delle dittature latinoamericane è stato soft. In ogni caso, il capo della Casa Bianca ha annunciato l’apertura degli archivi militari e d’intelligence relativi a quel periodo. Ricordiamoci che Obama è al governo degli Stati Uniti, non al potere. Quest’ultimo è tuttora detenuto da un’élite finanziaria e militare. Lui stesso, in uno scambio di lettere di qualche mese fa, ha ammesso di non poter fare tante cose. Come la chiusura di Guantanamo, che non mi stanco di chiedere: è inaccettabile che nel 2016 si torturino le persone come faceva il regime argentino… Sugli archivi, gli Usa avrebbero dovuto “aprire”, in base alla loro legge, nel 2026. Hanno anticipato, facendo guadagnare dieci anni alla ricerca della verità. Sulla dittatura argentina ma anche sulle altre del Continente, unite dal “Piano Condor”, per la repressione degli oppositori. È un passo importante che arriva sull’onda di una decisione del Vaticano. Quest’ultimo ha fatto da “apripista”. Per volontà di Francesco, la Santa Sede sta lavorando per permettere l’accesso ai propri documenti relativi al periodo del regime militare. Il Papa l’aveva promesso agli attivisti per i diritti umani e aveva già reso disponibile il dossier sull’assassinio del vescovo di La Rioja, Enrique Angelelli, consentendo di far luce sulla vicenda e di arrivare alla condanna dei responsabili. Il che dimostra la profonda sensibilità di Francesco per ciò che accade nel mondo, non solo in America Latina. Obama è arrivato in Argentina, passando dalla “porta” Cuba. Un fatto simbolicamente importante per il Continente, perché chiude la tappa della Guerra fredda e conseguente “guerra sporca” Usa. Di sicuro il disgelo è un segnale rivolto a tutto il Continente. Bisogna vedere Washington è veramente disposta a cambiare approccio o vorrà continuare a “dettare la linea”. Che significato ha la memoria oggi? Ricordare aiuta a non ripetere. I diritti umani non sono una questione del passato. È vero che in America Latina non abbiamo più dittature sanguinarie come negli anni Settanta. Non vuol dire, però, che non ci siano altre forme di violazione della dignità umana. La miseria, la diseguaglianza, la discriminazione degli indigeni, la devastazione della natura, sono temi terribilmente attuali. © RIPRODUZIONE RISERVATA L’intervista Il Nobel Pérez Esquivel
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