venerdì 22 novembre 2019
La Cina replica a muso duro dopo l’approvazione del provvedimento sui diritti umani: «Questa è un’interferenza manifesta nei nostri affari interni. Reagiremo»
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Si chiama “Hong Kong Human Rights and Democracy Act”, è stato approvato dalla Camera Usa, seguendo a ruota il “sì” del Senato. Ed è il grimaldello con il quale gli Stati Uniti entrano, a gamba tesa, nella “partita”, sempre più pericolosa, che si sta giocando ad Hong Kong. Costringendo la Cina a reagire e usare toni mai così perentori. Giunta (quasi) al suo sesto mese, la protesta di Hong Kong sfonda, così, definitivamente il perimetro nella quale si è finora consumata. Per guadagnare un palcoscenico nuovo. Una sorta di internazionalizzazione dello scontro che, secondo gli analisti, sta però “ingessando” gli attori in campo: nessuno, in pratica, sa come uscire dalla crisi. Il provvedimento approvato dal Congresso Usa, in attesa di essere firmato dal presidente Donald Trump, spiana la strada a sanzioni nei confronti di individui ed enti cinesi e di Hong Kong che si ritiene violino le libertà fondamentali dell’ex colonia britannica. Tra le misure previste c’è la compilazione di un rapporto annuale, che deve ricevere l’approvazione del segretario di Stato, sul livello di autonomia di Hong Kong rispetto alla Cina per permettere alla città di mantenere l’attuale status speciale sul piano commerciale conferitole da Washington. Un secondo provvedimento vieta la vendita alla polizia di Hong Kong di certe munizioni non letali, come i gas lacrimogeni, i proiettili di gomma, le pistole taser, gli spray urticanti. Un doppio “affondo” impossibile da accettare per la Cina. Che replica a muso duro. Per il ministro degli Esteri Wang Yi «il Congresso Usa vuole la distruzione di Hong Kong», mandando «il segnale sbagliato di connivenza coi criminali violenti. «Questa è un’interferenza manifesta negli affari interni della Cina». Pechino si dice, così, «pronta a prendere misure per contrattaccare con vigore». Tutto questo mentre l'Alta Corte di Hong Kong ha reintrodotto in via momentanea e per sette giorni il divieto di indossare maschere in luoghi pubblici.

INTERVISTA «Se entreranno nel PolyU scoppierà il finimondo»

La domanda è: fin dove si spingeranno i protagonisti della partita? La Cina è disposta a “replicare” la tragedia di Tienanmen, ben consapevole che un intervento militare innescherebbe una serie di reazioni a catena che andrebbero a colpire in primis la sua economia? Gli esperti sottolineano come finora, nonostante i proclami, Pechino sia stata solo a guardare, un modus operandi ben diverso da quello praticato nello Xinjiang ai danni della minoranza musulmana uighura. Per gli analisti, poi, l’esercito cinese sarebbe ben poco adatto a fronteggiare azioni di guerriglia urbana, peraltro sotto un palcoscenico mediatico. E gli Usa? Trump vorrà davvero inasprire la guerra dei dazi (la cui risoluzione per ora sembra slittare a fine anno, con Pechino che chiede un nuovo round negoziale), proprio mentre il settore manifatturiero a stelle e strisce arranca e le previsioni di crescita sono opache? Come scrive Asia Times «questo non è il tipo di economia che l’inquilino della Casa Bianca vorrà esibire durante l’anno della campagna presidenziale del 2020». Sul “terreno”, la battaglia al campus del PolyU di Hong Kong sembra ormai agli sgoccioli. Secondo stime del South China Morning Post, sono ancora 60 gli studenti che resistono all’interno dell’istituto, in condizioni sempre più difficili, circondati dalla polizia anti sommossa. I ragazzi hanno creato, con abiti e tessuti, una enorme scritta “Sos”. «Non prenderò in considerazione la resa. La resa è per le persone colpevoli. Nessuno di noi dentro è colpevole », ha detto Michelle, una studentessa di 20 anni. Scarseggiano acqua, cibo e medicine, dicono dall’interno. Gran parte del campus è danneggiato, con stanze vandalizzate e finestre infrante. L’elettricità e l’acqua funzionano ancora. Il nuovo capo della polizia di Hong Kong Tang Ping Keung ha chiesto ai ragazzi ancora barricati all'interno del campus di uscire "per risolvere pacificamente la crisi". Dall’inizio dell’occupazione, domenica scorsa, decine di persone sono riuscite a fuggire, ma altre 700 sono state arrestate, secondo quanto affermato dalla polizia. L’Alto commissariato Onu per i diritti umani ha chiesto «una soluzione pacifica» alle autorità, denunciando al contempo la «violenza estrema» di alcuni manifestanti.

L’ultima mossa della autorità di Hong Kong potrebbe essere quella di far slittare le elezioni per il rinnovo dei Consigli distrettuali, previste per domenica. «Non importa quanto ci impegniamo a mantenere la legge e l’ordine, quello che conta davvero è se i manifestanti saranno cooperativi», ha dichiarato il segretario capo dell’amministrazione di Hong Kong, Matthew Cheung, citato dall’emittente Rthk. «Se riprendono gli atti di vandalismo, le violenze, gli incendi in molti luoghi, i blocchi delle strade e del traffico, sarà molto difficile per la gente andare alle elezioni», ha aggiunto l’alto funzionario di Hong Kong.

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