Renessio, vedova e madre di 6 figli rientrata in Centrafrica dopo gli scontri tra fazioni: è assistita dall’Onu - UNHCR / Fidélia Bohissou
Kateryna è fuggita da casa, nel sud dell’Ucraina, nel marzo del 2022, a pochi giorni dall’inizio dell’aggressione militare russa. Ora si trova in Polonia, come rifugiata, insieme alla sua famiglia. Lei è al sicuro, ma teme per la sicurezza di altri suoi parenti, compresa la sorella e il nonno, rimasti in terra ucraina. Kateryna e la sua famiglia fanno parte dei 110 milioni di persone in tutto il mondo sono state costrette alla fuga a causa di guerre, persecuzioni, violenze e violazioni dei diritti umani.
Un numero record, secondo il principale rapporto annuale dell’Unhcr-Acnur, «Global Trends in Forced Displacement 2022», un dossier di 48 pagine (visionato da Avvenire in anteprima e che verrà diffuso oggi) , ultimato in vista della Giornata mondiale del rifugiato, del 20 giugno.
Guerre e mutamenti climatici
Nel 2022, si legge, «la guerra in corso in Ucraina, insieme ai conflitti in altre parti del mondo e agli sconvolgimenti provocati dal clima», hanno costretto altri milioni di persone a fuggire, acuendo l’urgenza «per un’azione immediata e collettiva per alleviare cause e impatto dello sfollamento». A fine dicembre il numero totale è salito «al livello record di 108,4 milioni, con un aumento senza precedenti di 19,1 milioni rispetto all’anno precedente». E il trend «non mostra segni di rallentamento», anche a causa «dello scoppio del conflitto in Sudan, che ha causato nuovi esodi, spingendo il numero totale delle persone in fuga a un valore stimato di 110 milioni fino al maggio scorso». Numeri, osserva amaro l’Alto commissario Onu per i rifugiati Filippo Grandi, che «dimostrano che ci sono persone fin troppo pronte a ricorrere alla guerra, e decisamente troppo lente a trovare soluzioni». Con conseguenze angoscianti: «La devastazione, lo sfollamento e l’angoscia per milioni di persone sradicate con la forza dalle loro case».
Tecnicamente, 35,3 milioni di persone sono «rifugiati», perché hanno attraversato un confine internazionale in cerca di sicurezza, mentre il gruppo più numeroso (il 58%, ossia 62,5 milioni) riguarda gli sfollati all’interno dei loro Paesi, per conflitti o per situazioni di violenza. Inoltre, 4,4 milioni di persone risultano apolidi o di nazionalità indeterminata, il 2% in più rispetto al 2021.
Da Kiev a Kabul
La guerra in Ucraina ha determinato un boom di partenze: da 27.300 nel 2021 a 5,7 milioni nel 2022, «il più rapido esodo di rifugiati al mondo dalla Seconda guerra mondiale». E in Afghanistan la quota si è impennata per la revisione delle stime dgli afghani ospitati in Iran (molti non erano stati contabilizzati). Meno persone sono invece rientrate in patria volontariamente e in sicurezza: «339mila in 38 Paesi», con «significativi ritorni volontari in Sud Sudan, Siria, Camerun e Costa d’Avorio». Mentre 5,7 milioni di sfollati interni sono tornati a casa, in particolare in Etiopia, Myanmar, Siria, Mozambico e in Congo.
Le nazioni povere beffate
Sconcerta apprendere che «i 46 Paesi meno sviluppati», che «rappresentano meno dell’1,3% del prodotto interno lordo globale», ospitano «più del 20% di tutti i rifugiati». E i fondi per far fronte alle molte crisi in corso sono stati insufficienti e continuano a esserlo nel 2023. «Le persone continuano a dimostrare una straordinaria ospitalità nei confronti dei rifugiati», constata Grandi, «ma è necessario maggior sostegno internazionale e una condivisione più equa della responsabilità». Soprattutto, «bisogna fare molto di più per porre termine ai conflitti» e per «rimuovere gli ostacoli in modo che i rifugiati abbiano l’opportunità concreta di ritornare volontariamente a casa, in sicurezza e dignità». Come Renessio, vedova e con 6 figli, che è riuscita a rientrare a Bria, in Centrafrica e col sostegno di un programma dell’Acnur ha costruito una nuova casa per la sua famiglia.