sabato 15 dicembre 2018
La piccola si è disidratata dopo 8 ore nel deserto. Con il padre e altri 160 migranti si era consegnata alla polizia di frontiera.
Un ragazzo cerca di scavalcare la barriera di metallo che separa il Messico dagli Stati Uniti

Un ragazzo cerca di scavalcare la barriera di metallo che separa il Messico dagli Stati Uniti

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È morta di sete dopo aver passato una notte in un centro di detenzione per immigrati irregolari in New Mexico, Usa, e dopo una vana corsa in elicottero a un ospedale di El Paso. Jackelin Caal Maquin, una piccola guatemalteca di 7 anni, ha finito i suoi giorni disidratata e provata dal lungo viaggio che l’ha portata con il padre e l’ennesima carovana di 163 centroamericani – secondo il Washington Post – ad attraversare il Messico in gruppo e a valicare il confine statunitense e a consegnarsi agli agenti frontalieri, nella speranza di ottenere asilo. E non sono chiare nemmeno le circostanze del suo decesso, sul quale l’Agenzia americana per le dogane e il pattugliamento dei confini (Customs and border protection) ha aperto un’indagine, chiedendo un’autopsia. L’ente ha presentato le sue condoglianze alla famiglia della bimba, assicurando di aver fatto tutto il possibile per salvarle la vita.

Ma le domande senza risposta che circondano questo straziante caso hanno già suscitato le proteste delle associazioni per i diritti civili Usa (come la Aclu) e per la difesa degli immigrati. Ci si chiede, ad esempio, perché la piccola non avesse ancora ingerito acqua alla mattina alle 6 e mezza, quando ha cominciato ad avere convulsioni, dopo essere stata arrestata alle 22 della sera precedente. O perché nessuno le avesse prestato cure mediche, se le sue condizioni, come gli agenti frontalieri sostengono, fossero già gravi quando è arrivata al passaggio di confine di Lordsburg. La prima volta che le è stata presa la temperatura, ad esempio, è stata la mattina, quando bruciava con quasi 41 gradi di febbre. Il dipartimento per la Sicurezza interna Usa, dal quale l’agenzia di frontiera dipende, non ha neanche spiegato perché la tragedia sia stata resa nota più di una settimana dopo essere avvenuta, il 6 dicembre scorso. I gruppi della società civile puntano il dito contro una «mancanza di responsabilità» e «cultura della crudeltà» nel Customs and border protection.

Ma la Casa Bianca respinge l’accusa. «L’Amministrazione – ha affermato un portavoce del presidente Donald Trump – si deve prendere la responsabilità di un genitore che porta a piedi un bambino attraverso il Messico per arrivare negli Usa? No». Secondo Human Right Watch, però, Jakelin e il papà avrebbero dovuto camminare altre 60 ore aggiuntive nel deserto fino a Lordsburg perché ai valichi di El Paso e Nogales gli agenti Usa non consentivano agli immigrati di consegnarsi e chiedere asilo. Martedì scorso, lo stesso commissario dell’agenzia delle dogane, Kevin McAleenan, ha, inoltre, dichiarato durante una testimonianza al Senato che le celle dell’agenzia sono «incompatibili» con la nuova realtà dei genitori con bambini che attraversano il confine per consegnarsi agli agenti, richiedendo asilo. «Le nostre stazioni di pattuglia di frontiera sono state costruite decenni fa per gestire adulti maschi, non famiglie e bambini», ha detto. La piccola stazione di pattuglia di Lordsburg questa settimana ha ricevuto almeno due gruppi di oltre 200 profughi. Entrambi erano composti per lo più da famiglie e bambini. Nel solo mese di novembre gli agenti statunitensi hanno arrestato al confine meridionale Usa e quindi detenuto 25.172 membri di famiglie.

La morte di Jakelin Amei avviene pochi mesi quella di un altro piccolo guatemalteco di meno di due anni deceduto dopo il rilascio da una struttura a Dilley, in Texas. La madre e i suoi avvocati sostengono che aveva contratto un’infezione respiratoria nel centro di detenzione e che non aveva ricevuto assistenza medica adeguata.
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