venerdì 11 settembre 2020
Il colosso Rio Tinto annuncia il passo indietro dell'amministratore delegato e di 2 manager, dopo le proteste degli aborigeni per il crollo della grotta di 46mila anni
Jean Sebastien Jacques, l'amministratore delegato dimissionario della multinazionale Rio Tinto

Jean Sebastien Jacques, l'amministratore delegato dimissionario della multinazionale Rio Tinto - Reuters

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Jean Sebastien Jacques, amministratore delegato del colosso minerario anglo-australiano Rio Tinto, ha rassegnato le dimissioni dopo che la società per cui lavorava ha autorizzato nel maggio scorso la distruzione di una grotta aborigena australiana di 46mila anni fa. A renderlo noto il presidente della multinazionale, Simon Thompson, precisando che ad aver lasciato l'incarico sono stati anche il capo della divisione minerale ferrosa, Chris Salisbury, e il responsabile delle relazioni aziendali Simone Niven.

La distruzione della grotta sacra nella gola di Juukan Gorge, che si trova nella remota regione Pilbara, nella parte occidentale del Paese, era stata denunciata proprio dagli aborigeni della zona, i Puutu Kunti Kurrama e i Pinikura.

La distruzione era stata pianificata da Rio Tinto, terzo gruppo minerario mondiale, per espandere una miniera di ferro. La decisione aveva suscitato una rivolta tra gli investitori sdegnati. La grotta era considerata infatti uno dei primi luoghi conosciuti abitati dagli indigeni australiani.

"Quello che è successo a Juukan era sbagliato e siamo determinati a garantire che la distruzione di un sito del patrimonio di tale eccezionale significato archeologico e culturale non si verifichi mai più durante un'operazione di Rio Tinto", ha dichiarato il presidente.

L'importanza culturale della gola di Juukan è stata confermata da uno scavo archeologico effettuato in una delle grotte, note come rifugi rocciosi, un anno dopo che Rio Tinto ha ottenuto l'approvazione legale per l'esplosione nell'area. Lo scavo ha portato alla luce i più antichi utensili mai reperiti in Australia: un osso di canguro affilato, risalente a 28.000 anni fa, e una cintura di peli intrecciati che il test del Dna ha collegato alle popolazioni indigene che vivono ancora nell'area. All'epoca della distruzione le comunità autoctone, considerate proprietarie del sito, non erano state informate in tempo e non si erano dunque potute opporre.

Le dimissioni dei dirigenti sono avvenute dopo un'indagine interna condotta dall'azienda. In un primo momento la società aveva tolto milioni di dollari in bonus ai tre, ma gli azionisti e gli organi di responsabilità aziendale hanno considerato la risposta insufficiente e chiesto il loro siluramento.

Il National Native Title Council, che rappresenta i proprietari terrieri indigeni, ha accolto con favore quello che è stato definito il "licenziamento" dei dirigenti, definendolo però solo un primo passo cruciale. "Ci auguriamo che questo invii un messaggio forte a tutto il settore minerario: occorre entrare nel 21esimo secolo e iniziare a prendere sul serio la governance ambientale, sociale e aziendale", ha detto Jamie Lowe, amministratore delegato del Council.

Il ceo rimarrà in carica fino a che non sarà individuato il successore e in ogni caso non oltre la scadenza naturale del suo mandato prevista per il 31 marzo 2021. Gli altri dirigenti invece lasceranno il gruppo a fine anno.



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