sabato 15 dicembre 2012
​Riscaldamento spento per risparmiare, regali tagliati a Natale, l'82% dei depositi bancari sotto i 2mila euro. Atene è in ginocchio. L'unico vero paracadute resta la famiglia, ma la solidarietà sta prosciugando i risparmi.
Alba Dorata: «Vogliamo restare nell'euro. Ma parte del debito va condonata»
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​A piazza Syntagma, il "cuore" di Atene, l’albero natalizio risplende come ogni anno. Da lì parte Ermou, la via commerciale per tradizione, ripiena di addobbi appena installati che attraggono la gente a passeggio. Il quinto Natale consecutivo di recessione (e il sesto, a fine 2013, è già sicuro) sarà però una festa più che mai "sotto tono". Molti lo paragonano al peggior Natale dalla fine della guerra mondiale, più magro anche rispetto a quello, già "nerissimo", di un anno fa. Non tanto per i commercianti che si lamentano perché «tanti entrano ma pochi comprano», ritornello dei negozianti un po’ ovunque. Facendosi caso, si nota che, a parte i più giovani, sono pochi i volti che sorridono. Non potrebbe essere altrimenti per un Paese stremato, tenuto in vita artificialmente da continui innesti di liquidità internazionale (buoni ultimi, gli attesi 34,4 miliardi di euro che appena l’altroieri sono stati sbloccati dall’Eurogruppo a Bruxelles). Un Paese in cui ti imbatti nei problemi a ogni angolo: la piazza che ospita il Parlamento è sede di continui cortei di protesta, e ieri si è chiuso lo sciopero di 48 ore dei dipendenti di Comuni e Regioni (protestano, appoggiati dal sindacato Adedy, contro la compilazione delle liste dei lavoratori destinati alla mobilità, come richiesto dal ministero della Riforma amministrativa).Sarà un inverno lunghissimo, quello greco. I giornali raccontano che la gente sta risparmiando ormai anche sul riscaldamento e che le aziende erogatrici cominciano a staccare il gas a chi non paga due bollette di fila. Difficile andare avanti su questa china. Tutti, dai ministri ai politici di maggioranza e opposizione, dai sindacalisti ai cittadini, ripetono in coro: «I sacrifici li abbiamo fatti. Ma ora basta. Non possiamo sopportare altro». Lo dice anche Costas, che fa l’operatore free-lance per una tv privata: «Io stesso ho deciso che non farò regali a Natale. E considera che, tutto sommato, io ho ancora un lavoro. Anche se guadagno solo 700 euro, a parità di lavoro il 40% in meno rispetto a due anni fa. Ma pensa a chi ha perso ogni fonte di guadagno». Questi ultimi li vedi lungo le strade. Non tanti, a dire il vero, ma ogni tanto un giaciglio spunta. Una Ong ateniese (Klimaka) ha svolto un sondaggio fra i clochard della capitale: 7 su 10 vivono all’aperto da almeno un anno. Una povertà crescente attestata da un dato: l’82% dei depositi bancari non supera ormai i 2mila euro e un altro 11% arriva a 10mila.Sono preoccupazioni che rimbalzano nei Palazzi del potere. Il ministro dell’Economia, Ioannis Stournaras, confida che il biennio 2013/14 segnerà l’inizio dell’inversione di rotta, ma si lascia andare pure a una confessione amara: «Il fatto è che, in Europa, abbiamo potuto trattare poco, noi siamo uno stato piccolo». Lo stesso palazzo ospita anche il ministero dello Sviluppo, dove si aggiunge tuttavia che «dobbiamo ricordarci che questa è la sfida di un’intera generazione, una sfida che siamo condannati a vincere, per la Grecia». Quello che più colpisce, incontrando i politici che contattiamo tramite la rappresentanza ad Atene della Commissione Ue, è che nessuno ragiona però sugli errori del passato. E sì che devono essere stati tanti in un Paese che, a parte il caso eclatante dei conti pubblici truccati davanti alla Ue, «dipendeva in modo abnorme, al 90%, dal settore pubblico», analizza George Tsopelas, consulente locale di McKinsey, che collabora oggi con la Sev (gli imprenditori greci); che nel primo decennio dell’euro ha visto crescere il costo del lavoro del 32%, portandolo fuori linea in una realtà già priva di vero tessuto industriale; e che dal 2010 in poi ha visto crollare gli investimenti pubblici di oltre il 53%.Per fortuna che, qui ancora più che da noi in Italia, a fare da paracadute ci sono ancora le famiglie. Una solidarietà familiare che per ora attenua gli effetti della crisi, ma che sta prosciugando i risparmi. Già ridotti peraltro dalle ripetute manovre di risanamento: l’ultima ha tagliato anche le pensioni da un minimo del 5% (quelle fra i 1.000 e i 1.500 euro) fino al 15%. Anche per questo il Natale alle porte «sarà refene (parola turca che significa "alla romana", ndr) – spiega Ersi, giornalista di Elefterotypia –. Nessuno rinuncerà al pranzo natalizio, qui molto sentito, ma ci si adatta. O ognuno porta qualcosa oppure si divide il conto della spesa». Come sempre nelle crisi, in questa Grecia alle corde si spera nel futuro. McKinsey ha prodotto uno studio secondo cui, dopo le riforme fatte (e se ripartiranno gli investimenti), si stimano 520mila nuovi posti di lavoro possibili nei prossimi 10 anni. E consiglia di mettere al bando "sogni di grandezza" industriale e di concentrarsi su due settori: turismo e agricoltura. Lo fa con un esempio forse limitato, ma eloquente: del formaggio feta, prodotto tipicamente locale, la Grecia controlla oggi appena il 28% del mercato mondiale, lasciato invece in mano soprattutto a danesi e inglesi. Intanto, nelle vetrine dell’aeroporto "Venizelos", campeggia una confezione di feta denominata "Spread". Anche questa è la fine del sogno greco.
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