martedì 19 febbraio 2013
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«Non guardi il filo spinato – dice l’ingegner Aristides Kalamaiou – quello l’hanno messo quelli di Chrusi Avgi perché non si fidavano a lasciar scoperto il confine. Noi dovremmo cominciare a marzo a scavare il fossato e entro settembre il muro dev’essere completato». Il cuore di Kalamaiou naviga in un lago d’orgoglio («Lo sa – dice – che ho partecipato alla costruzione del depuratore delle acque nella vostra Bologna?») e il fatto che quel filo spinato srotolato dai ceffi di Alba Dorata non sia che la corrusca caricatura di quel muro che il governo stenderà sul confine turco lungo i dodici chilometri che vanno da Nea Vyssa a Kastanies, un muro già pomposamente benedetto dal premier Samaras con tanto di cerimonia ufficiale e di foto ricordo di quel serpente di acciaio puntuto che garantirà ai greci una sensibile diminuzione del transito di clandestini, non gli provoca alcun disagio. «Costerà 5 milioni di euro – dice – ma ne vale la pena, e ci sarà anche un fossato pieno d’acqua, come nei castelli medievali, lungo 120 chilometri e largo trenta metri a ridosso del fiume. Vedrà che di lì non passerà più nessuno». Comincia da qui, nella Tracia resa grigia e monotona da un’acquerugiola che non si decide a diventar pioggia, il nostro viaggio nella Grecia profonda che si barrica nelle proprie paure, vellicata dalla xenofobia e del razzismo su cui soffia Alba Dorata, dove la crisi morde e uccide valori, legami, solidarietà, lealtà e sogni e l’incertezza e la paura rendono gli uomini lupi agli uomini. Quasi ad ogni cavalcavia c’è una scritta minacciosa: come «Exos oì xenòi», fuori gli stranieri, slogan vincente di Alba Dorata, al punto che una delle più riuscite operazioni polizia (un vero e proprio rastrellamento, denunciano sia Amnesty International sia Human Rights Watch) ha preso il nome beffardo di “Xenios Zeus”, Dio degli stranieri: in totale, sedicimila immigrati fermati e controllati, solo duemila dei quali senza documenti in regola, subito trasferiti nei centri di detenzione al confine.«Guarda che quelli di Alba Dorata non scherzano», dice Matias, l’autista che mi porta in questo girone dei passi perduti, dove la “grecità” (ma chiamiamola pure koiné, un termine che nel mondo classico aveva una sua nobiltà) è un valore e l’essere straniero una colpa, essendo il tragitto fra i buoni e i cattivi assai breve. Come insegnavano i latini, amicus, inimicus, hostis. E quanto Matias abbia ragione lo scopriamo subito quando in una strada periferica, nella squallida litoranea che corre lungo il fiume Evros incappiamo in un posto di blocco. E non occorre molto per accorgersi che quei giovani dal cranio nudo e dalla prepotenza che sprizza dai quei fisici coltivati e militarizzati non fanno parte della polizia, ma sono membri di Alba Dorata. «Sei greco?», chiede un giovane con i rayban a specchio, la maglietta e il giubbotto neri, lo stemma di Alba Dorata sul petto, un meandro che richiama nei colori la svastica nazista. «No», dico. «Straniero?», finge di meravigliarsi. «Non dire che sei giornalista», mormora Matias. «Tranquillo. Sono solo un turista», sorrido. «Italiano? Stessa faccia stessa razza», si distende un sorriso sghembo il militante di Alba Dorata. «Che fa qui in Tracia?» «Sto tornando a Salonicco». Ci lasciano passare. «La polizia – spiega Matias – come vedi li lascia fare». Ed è questa eclissi della legalità appoggiata dalle forze dell’ordine, dove l’8 per cento guadagnato da nazionalisti di Alba Dorata alle penultime elezioni (una lieve flessione nella ripetizione dell’anno scorso) si è riversato come un fiume in piena fra i ranghi dei militari e della polizia.Com’è triste questa Grecia, messa alla gogna dai contabili d’Europa e dal Fondo Monetario Internazionale, che nasconde come può le sue ferite e dissimula un orgoglio rabbioso. E com’è raggelante quella strada che dalla Turchia porta alla capitale della Penisola Calcidica, tappezzata di concessionari di automobili che in pochi ormai osano comprare, di parchi di divertimenti dove nessuno mette più piede, di cinema chiusi per mancanza di spettatori. E, ancora, com’è triste questa antica Tessalonica che si affaccia sul secondo porto del Paese, un tempo Gerusalemme macedone, dove i sefarditi cacciati dalla Spagna vennero ad abitare per secoli e nessuno – fino a quando se ne deportarono oltre cinquantamila nei campi nazisti – si sognava di cacciarli o di disturbarli. Capitale di un cosmopolitismo lungimirante, dove poteva nascervi il padre della Turchia moderna Kemal Ataturk o trovarvi rifugio il sedicente messia Sabbatai Zevi in fuga da Smirne, oggi Salonicco è una vecchia signora piena di sussiego e soprattutto tanto diversa da Atene: ci sono i poveri, i senzatetto, certo, una vetrina ogni quattro o cinque è sprangata, le società falliscono, «ma lo smalto – dice Dimitru Kakoyannidis, anziano commentatore politico – quello rimane. Guai a far vedere che si stringe la cinghia, a Salonicco è quasi un peccato mortale e poi l’Ocse non ha mica detto che siamo i primi della classe nella corsa alle riforme?». Ma dietro il sussiego, l’orgoglio, il decoro, c’è la paura. E come dar loro torto? La disoccupazione a novembre è salita al 27%, il livello peggiore di tutto il continente, con il dato per i giovani tra i 18 e i 25 anni arrivato alla cifra monstre del 61,7% e 30mila posti di lavoro liquefatti in un solo mese, mentre le pensioni sono state ritoccate al ribasso per la quarta volta i dodici mesi. E accanto alla paura, una sorda guerra fra poveri, con lo strascico che povertà improvvise e traumatiche si portano dietro: aumento della tossicodipendenza, della prostituzione, dei reati da strada, delle infezioni da virus Hiv, dei ricoveri nei reparti psichiatrici. E, lasciatecelo dire, quella ostentata generosità di Alba Dorata, che si apposta accanto ai supermercati per regalare verdura e formaggi ai greci (i greci puri, beninteso, non i “meteci”, per non parlare degli stranieri) sa di carità pelosa, pelosissima, fatta apposta per estorcere consenso e alimentare quel rancore, quel risentimento che da mesi, da anni brucia ormai sotto la cenere dell’inettitudine dei governi che fin qui si sono succeduti e della colpevole crudeltà di chi nelle stanze protette del grande nord dell’Europa ha stilato la lista delle colpe, delle pene e delle sanzioni.
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