mercoledì 29 maggio 2013
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Bisogna arrampicarsi fino a duemila metri di altezza dell’altopiano malawiano per tornare all’anno zero dello sviluppo umano, issarsi tra sentieri scoscesi e pietrosi, abbracciare con lo sguardo un’umanità dolente e sconfitta dall’inettitudine delle amministrazioni governative, pronte a farsi vedere da queste parti una volta ogni quattro-cinque anni, il tempo di raccogliere qualche voto e tornarsene in città. Eppure, lì dove non arriva l’aiuto dall’alto, lì dove anche le Ong faticano ad avviare progetti, un germoglio di speranza può rinascere dal basso, dall’aiuto di persone semplici.Da Balaka, tra i centri più importanti della regione, siamo arrivati in un’ora d’auto a Lukongolo, lì dove l’asfalto ha lasciato da tempo spazio solo alla terra rossa dell’Africa più vera. Qui, ad attenderci, una moltitudine di bambini sorridenti, nonostante la polvere, nonostante l’assenza di cibo, nonostante la mancanza di una qualsiasi prospettiva di vita. Sono loro, insieme alle madri, a farci da guida nella salita. Mentre ci inerpichiamo, incontriamo sul nostro cammino micro-villaggi di una decina di casupole dal tetto di paglia: anche qui non mancano i bambini pronti ad accogliere i «bianchi», certamente una rarità a queste latitudini. Dopo oltre due ore di cammino, il punto di arrivo è Chaoni: è qui che sorge la St. Monica nursery school, un asilo che accoglie 96 bambini, realizzato grazie alla Regione Puglia e alla Città di Barletta, mentre poco distante si trova una scuola elementare pubblica, frequentata da circa 800 alunni. A qualche centinaio di metri un ospedale in costruzione, finanziato anche grazie ai fondi dell’8 per mille. Per Andrea Rossi, elettricista in pensione, e per la moglie Piera Brambilla, originari di Covo in provincia di Bergamo, fino a 3 anni fa questo agglomerato era poco più di un punto sperduto su una carta geografica. Oggi, però, è ragione di soddisfazione e sorrisi. Sono qui, infatti, per realizzare un sogno: aiutare la gente del posto – 10mila persone di diversi villaggi sparse nel raggio di molti chilometri, appena una cinquantina i cristiani – ad avere più facilmente accesso all’acqua. Per farlo hanno chiesto a parenti e amici, in occasione del quarantesimo anniversario di matrimonio, di trasformare i loro regali in piccole donazioni. È anche con quel denaro che hanno raccolto la somma necessaria – 2.600 euro – all’acquisto di un pannello solare, spedito poi quaggiù. Pannello che lo stesso Andrea è venuto a montare collegandolo ad un piccolo pozzo, che garantirà così più facilmente la disponibilità dell’acqua.«Lo facciamo con gioia, sapendo di ricevere dagli sguardi contenti di questa gente più di quello che stiamo donando – spiega Piera –. E poi è un esempio che vogliamo lasciare ai nostri figli, che ci sostengono in questa iniziativa. Siamo convinti che l’educazione, il rispetto e l’altruismo si insegnino più con i fatti che con le parole». Ci vogliono circa tre ore prima che il lavoro sia finito, sotto lo sguardo attento di decine di persone della zona. Quando il tutto è pronto, l’acqua che sgorga fa sciogliere la tensione in abbracci di gioia. Vengono collegate delle piccole fontanelle. Ed è lì, sotto gli occhi di Piera e Andrea, che Isaac, 13 anni, per la prima volta in vita sua può lavarsi le mani semplicemente aprendo un rubinetto. Quale gesto più scontato per noi, quale gesto più rivoluzionario in questo contesto. «Non avrei mai sperato nella mia vita di vedere un pozzo alimentato dalla luce del sole grazie a un semplice strumento come questo pannello – sottolinea meravigliato Karuma, uno dei più importanti capi villaggio della zona, abitata dalla tribù Ayao –. Sono felice per i bambini, che sono abbandonati a loro stessi. Ma oggi c’è chi si è ricordato di noi».
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