Militari jihadisti anti-Assad posano per una foto dopo la conquista di Aleppo - ANSA
Una fiammata inaspettata quanto violenta. Se in Libano traballa già la fragilissima tregua, la Siria torna a incendiarsi in solo 48 ore: l’avanzata improvvisa su Aleppo di gruppi jihadisti dalla “ridotta” di Idlib – l‘ultima provincia ribelle – riapre di fatto la battaglia congelata dal 2020 fra il regime di Assad e i ribelli fiancheggiati da Erdogan.
Milizie guidate dal gruppo jihadista Hayat Tahreir al Sham (Hts) sono entrati venerdì, a partire dai quartieri meridionali, nella seconda città della Siria, ottenendo il controllo di mezza città, compresa la storica cittadella: i miliziani sunniti tornano dove erano stati deportati nel dicembre 2016 dopo essere stati sconfitti nella battaglia simbolo della guerra civile. Hts è un gruppo terrorista per gli Usa, come per la Turchia, ma dietro questa sigla ora combattono anche numerose formazioni con base a Idlib sostenute da Erdogan.
Fonti della Farnesina confermano che l'Italia sta coordinando con l'Onu l'evacuazione degli italiani e dei funzionari stranieri da Aleppo. Le Nazioni Unite hanno avviato un'evacuazione da Aleppo verso Damasco e un primo convoglio di auto - alcune con italiani a bordo - è già in viaggio per uscire dalla città. Altri pullman organizzati dall'Onu sono in attesa di uscire. L'ambasciata a Damasco (dove si è appena insediato il nuovo ambasciatore Stefano Ravagnan, già inviato speciale della Farnesina per la coalizione anti-Isis) in stretta collaborazione con Palazzo Chigi, è in contatto col gruppo e riceverà i connazionali, in maggioranza con doppia cittadinanza. Una volta arrivati a Damasco si valuterà il da farsi: ossia se farli restare nella capitale siriana o spostarli altrove.
Anche se alcuni religiosi ha deciso di restare ad Aleppo, contando sui buoni rapporti stabiliti dai Francescani con tutte le comunità, Ravagnan è in contatto con loro e l'ambasciata sta aiutando quelli religiosi che vogliono uscire dalla città. L'ambasciatore è anche in contatto con il vescovo, che sta bene.
«Le nostre forze hanno iniziato a entrare nella città di Aleppo», afferma una nota del comando militare del gruppo, evoluzione di al-Nusra, legato in passato ad al-Qaeda. In un proclama sul sito di Hayat Tahreir al Sham (Organizzazione per la liberazione del Levante), il leader della milizia Abu Muhammad al Jolani, invita i suoi miliziani ad «avere misericordia e ad essere gentili con la nostra gente di Aleppo». I suoi guerriglieri avanzano però mitra in pugno, su camion scassati, dopo aver fatto esplodere due autobomba. Subito padroni dei quartieri al-Hamdaniya e nuova Aleppo, a sera, secondo l’Osservatorio nazionale per i diritti umani, sono cinque i quartieri meridionali e occidentali conquistati al governo. In precedenza i ribelli avevano dichiarato di aver preso il controllo del Centro di ricerca scientifica militare dopo «intensi scontri con le forze del regime e le milizie iraniane».
Una battaglia pesante con quasi 300 vittime in due giorni. Ucciso anche il generale dei pasdaran Kiumars Pourhashemi, alto consigliere iraniano in Siria. Le Nazioni Unite denunciano l’uccisione pure di 27 civili fra cui un bambino di otto anni mentre sono già 14mila gli sfollati, sempre secondo l’Onu, con alcuni quartieri di Aleppo che si sono completamente svuotati nel giro di pochissime ore.
Un’incursione avviata all’alba di giovedì che ha sbaragliato l’esercito siriano che tuttavia dichiarava di stare respingendo la «grande offensiva» e di aver «ripreso il controllo di alcune posizioni». Questo mentre jet russi e siriani colpivano con intensi raid aerei l’intera regione di Idlib. Bombardamenti formalmente interrotti con l’armistizio tra Assad ed Erdogan del 2020, ma mai del tutto cessati. Ventitrè gli attacchi venerdì secondo l’Osservatorio siriano per i diritti umani, un centinaio in tutto negli ultimi giorni. Gli elmetti bianchi, corpo di soccorritori legati all’opposizione, denunciavano pesanti vittime pure fra i civili nella regione di Idlib.
Forse questi continui attacchi aerei la causa scatenante dell’incursione di terra dei jihadisti. Un’avanzata quasi senza incontrare resistenza con i ribelli che già giovedì avevano il controllo di Saraqeb, centro strategico sull’autostrada Damasco-Aleppo, la direttrice su cui si è combattuta negli ultimi 14 anni la guerra civile e che dal 2020 non veniva più interrotta dalle forze anti-Assad. Una cinquantina le città e i villaggi conquistati fra cui Nubl e Zahra, località con una forte presenza di miliziani sciiti di Hezbollah. Colpito pure l’aeroporto di al-Nayrab, vicino ad Aleppo.
Per i media siriani filo-turchi quella in atto non è un’azione «preventiva» – denominata “Scudo contro l’aggressione” – con lo scopo di «difendere i civili» da un’offensiva governativa, russa e iraniana contro la zona di Idlib. Secondo Damasco e le forze di Teheran si tratta invece di una manovra orchestrata da forze del radicalismo islamico sunnita alleate dei «sionisti».
Di fatto un’offensiva lampo che riapre una ferita mai chiusa della guerra civile siriana che ora, nel nuovo Medio Oriente disegnato a forza nel post 7 ottobre, potrebbe destabilizzare equilibri consolidati nel cuore dell’asse sciita. Colpire il regime di Assad significa indebolire uno “snodo” fondamentale della presenza regionale iraniana, sinora intangibile grazie al sostegno delle milizie di Teheran e di Mosca.
Il portavoce del Cremlino parla infatti di «sovranità violata» e auspica un ritorno all’ordine costituzionale «il più presto possibile». Il ministero degli Esteri della Turchia denuncia invece una «escalation indesiderabile» nella regione di Idlib contro i civli. Dichiarazione che dimostra il ruolo decisivo di Ankara nell’operazione in corso. Membro Nato e grande mediatore con la Russia per la guerra in Ucraina, Erdogan potrebbe approfittare dell’indebolimento del potere regionale di Teheran per regolare la questione curda nel Rojava, "sigillare" i profughi siriani oltre confine, e aprire una imprevedibile partita diplomatica con Aleppo nelle sue mani. Difficile pensare a un Israele inerte in tutta questa operazione: dopo quelli contro Hamas e Hezbollah, un nuovo attacco ai “proxy” di Teheran, là dove i confini da anni non esistono più, è ormai iniziato.