venerdì 23 novembre 2018
La compagnia accusata di "spionaggio". La replica: sorpresi, sono oltre la loro giurisdizione. Sullo sfondo la guerra dei nervi sul commercio tra le due superpotenze
Il logo della compagnia cinese Huawei a Pechino (Ansa)

Il logo della compagnia cinese Huawei a Pechino (Ansa)

COMMENTA E CONDIVIDI

I nervi sono sempre più tesi. Con la guerra commerciale, che gli Usa stanno combattendo a colpi di tariffe, che si “arricchisce” di un nuovo capitolo. Questa volta nel mirino è finita la compagnia cinese Huawei Technologies, seconda al mondo per la produzione di smartphone. Il governo a stelle e strisce starebbe organizzando una campagna per boicottarla. Secondo il Wall Street Journal, l’amministrazione Usa sta facendo pressione sui suoi alleati stranieri, Italia inclusa, per persuadere i fornitori di servizi wireless e Internet di questi Paesi a non utilizzare le apparecchiature di telecomunicazioni della compagnia cinese. I funzionari Usa hanno contattato le loro controparti governative e i dirigenti delle tlc in quei Paesi amici dove le apparecchiature Huawei sono ampiamente utilizzate, tra cui Germania, Italia e Giappone, avvertendoli di quelli che considerano un rischio alla sicurezza informatica. Gli Stati Uniti stanno anche valutando l'ipotesi di aumentare gli aiuti finanziari per lo sviluppo delle telecomunicazioni in quei paesi che boicotteranno le attrezzature prodotte in Cina. Washington in particolare è preoccupata per l'uso di apparecchiature di telecomunicazione cinesi in quei Paesi che ospitano basi militari americane.
La reazione cinese? Non si è fatta attendere. "Huawei è sorpresa dai comportamenti del governo Usa descritti nell'articolo. Se il comportamento di un governo si estende oltre la sua giurisdizione, tale attività non dovrebbe essere incoraggiata”, ha detto un portavoce della compagnia. “Prodotti e soluzioni Huawei sono ampiamente usati in oltre 170 Paesi in tutto il mondo, servono 46 dei primi 50 operatori mondiali, aziende di Fortune 500 e centinaia di milioni di consumatori. Ci scelgono perché si fidano pienamente".

Schermaglie? Guerra psicologica? Una cosa è certa: i rapporti tra le due superpotenze sono sempre più tesi. In ballo c’è un gap commerciale di 375 miliardi di dollari che il presidente americano Donald Trump vuole a tutti i costi ridurre. Gli Usa hanno imposto tariffe 250 miliardi di dollari sulle merci cinesi. Pechino prova a lanciare un messaggio distensivo, in vista del faccia a faccia tra lo stesso Trump e il presidente cinese Xi Jinping al summit del G20 in programma la prossima settimana in Argentina. "Speriamo che entrambe le parti possano lavorare assieme sulla base del rispetto reciproco, dell'equilibrio, dell'onestà e del reciproco beneficio, trovando finalmente una soluzione ai problemi", ha dichiarato Wang Shouwen, vice ministro cinese del Commercio. Basterà a calmare le acque? I “duellanti” sembrano agguerriti. Martedì, nell'aggiornamento del report diffuso a marzo, il rappresentante Usa per il Commercio, Robert Lighthizer, aveva osservato come Pechino non avesse rimediato a pratiche "scorrette, irragionevoli e che causano distorsioni del mercato". Al contrario, sottolineava il rapporto, la Cina avrebbe "visibilmente assunto nuove misure irragionevoli negli ultimi mesi". La risposta cinese è arrivata oggi, attraverso un portavoce del ministero del Commercio. "Gi Stati Uniti hanno proceduto con un cosiddetto aggiornamento del rapporto, facendo nuove ingiustificate accuse alla Cina, totalmente infondate e ignorando i fatti. La Cina non può accettarlo", ha dichiarato Gao Feng.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: