domenica 7 agosto 2011
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«In poche settimane si potrebbe arrivare a oltre un milione di profughi. Vuol dire un peggioramento dell’emergenza umanitaria e l’assoluto disastro a livello regionale». Sulle spalle di Luca Alinovi pesa la sorte di milioni di persone. È lui il capo della Fao in Somalia. L’Organizzazione per l’agricoltura e l’alimentazione è l’unica agenzia Onu ad avere ottenuto da tempo accesso pressoché libero nelle terre disseminate di miliziani al-Shabaab. «I numeri non dicono tutto. La cosa preoccupante è che tutte le altre regioni del sud Somalia sono a un passo dalla dichiarazione dello stato di carestia. Non siamo – prevede Alinovi – al momento peggiore di questa emergenza, ma all’inizio di un dramma che potrebbe durare molti mesi».Due settimane fa Josette Sheeran, capo del Programma alimentare mondiale, aveva detto ad "Avvenire" che in tutto il quadrante «sono oltre 11 milioni gli esseri umani che hanno urgente bisogno di assistenza». Qual è adesso la situazione?Di fronte abbiamo un Paese in una crisi grave, prolungata nel tempo e perciò ancora più profonda. Migliaia di persone stanno fuggendo. La marcia verso i campi profughi può durare settimane e lungo il cammino le famiglie vengono decimate dalla fatica, dalla fame, dalle iene e da altri predatori. Va appena meglio solo a chi riesce a prendere il bus verso i campi profughi di là dal confine con il Kenia. Due mesi fa il biglietto costava 45 dollari, oggi ce ne vogliono 90. Il problema è che nei mesi scorsi non sono state affrontate le cause del progressivo deterioramento della Somalia e le inevitabili ricadute sulle regioni contigue. Un aiuto decisivo, però, è arrivato dal Papa.Durante l’Angelus del 31 luglio, come già aveva fatto due settimane prima, il pontefice ha ricordato le «drammatiche conseguenze della carestia, aggravate dalla guerra e dalla mancanza di solide istituzioni».Ancora una volta il Santo Padre ha avuto intuizioni molto più avanzate di tutti noi, che pure conosciamo il territorio e disponiamo di dati e informazioni aggiornati. Quando Benedetto XVI ha lanciato l’allarme per il Corno d’Africa, l’ha fatto nei termini e con l’analisi esatta delle circostanze. Dobbiamo ricordarci che stiamo parlando di gente che per più di 15 anni ha ricevuto un’assistenza molto limitata, per lo più circoscritta ai bisogni di base, senza un sostegno duraturo verso l’uscita da un contesto di rischio. Invece occorreva intervenire in maniera più coerente nel tempo, anziché trovarsi a registrare una emergenza che, senza politiche di sostegno a lungo termine, presto si ripercuoterà su altre aree.Ritiene che i fondamentalisti, i quali talvolta attaccano i convogli umanitari, intendano spingere i profughi fuori dalla Somalia allo scopo di destabilizzare l’interno Corno d’Africa? Al momento lo escludo. Non è affamando la popolazione fino alla morte che si può ottenere l’appoggio della gente. Gli al-Shabaab avevano promesso di poter risolvere e affrontare da soli la crisi, ma non potevano farcela, perciò ci sono difficoltà nell’accesso degli aiuti. Sanno di non poterne fare a meno, ma allo stesso tempo è come ammettere di aver fallito.Voi come agite?Abbiamo un accesso piuttosto ampio, perché lavorando nel segmento dell’agricoltura veniamo percepiti come neutrali. Nel mondo islamico, peraltro, l’assistenza ai contadini e agli allevatori è benvenuta e questo ci rende meno difficile il lavoro. Talvolta crea tensioni molto serie l’atteggiamento di chi, accostandosi a queste persone, lo fa dando l’idea di voler interferire con la politica e la religione. Personalmente non ho dovuto mai negoziare un nostro intervento. Lavoriamo con le comunità locali, con le autorità tradizionali come gli anziani capi villaggio che anzi fanno di tutto per proteggerci. Come Fao abbiamo lanciato un piano da 70milioni di dollari per un intervento teso a salvare vite e mezzi di sussistenza a breve termine, costruendo sicurezza alimentare a lungo termine.Davvero non si poteva prevedere ed evitare questa carestia?Bisogna essere chiari: la siccità è altamente prevedibile, e non stiamo neanche parlando di un fenomeno ingestibile. Le condizioni climatiche si sono però sommate ad un peggioramento, anno dopo anno, della società somala. In mancanza di un governo vero, nessuna istituzione locale si è presa cura della popolazione già fortemente indebolita da povertà, instabilità, insicurezza. Poi ci sono anche fattori esterni: l’aumento dei prezzi dei prodotti agricoli e i continui rialzi del costo del petrolio hanno fatto schizzare i costi del cibo del 300% in un anno.Le precedenti emergenze alimentari non hanno insegnato nulla? Nel caso di questa crisi bisogna riconoscere che sta accadendo qualcosa di nuovo. Non solo perché la comunità dei donatori questa volta sta reagendo con rapidità. Penso alla risposta nell’ambiente delle Nazioni Unite e delle Ong. Si sta intervenendo in modo più intelligente che in passato. Se per un verso si agisce per portare sollievo immediato, per l’altro si fa in modo che gli interventi siano propedeutici allo sviluppo fornendo sementi, foraggio, macchinari, accesso all’acqua. Chiunque, privato della speranza di una possibilità di vita nel proprio villaggio e stretto nella morsa di fame e guerra, non avrebbe altra scelta che fuggire.
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