sabato 5 luglio 2014
Ergastoli in Argentina per il delitto Angelelli. L’«incidente» in cui morì nel 1976 era stato provocato dal regime militare. Condannati i due mandanti.
COMMENTA E CONDIVIDI
«Dobbiamo continuare a camminare, nient’altro». Lo diceva spesso. Secondo chi l’ha conosciuto, monsignor Enrique Angelelli l’avrebbe ripetuto ieri all’udire la condanna dei suoi assassini. Centinaia e centinaia di persone, cattolici e no, hanno intonato la frase – diventata una popolare canzone – fuori dal tribunale federale di La Rioja. Per tutto il giorno, la folla ha atteso il verdetto in raccoglimento, intervallando la preghiera a silenzio e riflessione. Lo aveva chiesto l’attuale successore di Angelelli, monsignor Marcelo Colombo, vescovo di La Rioja, per «accompagnare questo momento trascendentale nella strada verso la verità sulla morte del nostro pastore». La verità, scritta ieri dai giudici, è che l’ex generale Luciano Benjamín Menéndez e il commodoro Luis Fernando Estrella hanno, rispettivamente, ordinato e messo in atto l’omicidio di Angelelli e l’hanno camuffato da incidente stradale. Per questo, i militari hanno avuto l’ergastolo e la revoca dei domiciliari, comminati per altre violazioni sui diritti umani durante la dittatura: verranno trasferiti nel carcere di Brown, a Córdoba. Fra 30 giorni, il 4 agosto, saranno trascorsi 38 anni da quell’esecuzione, avvenuta sulla via che da Chamical riporta a La Rioja. Il «vescovo dei poveri», come lo chiamavano, vi si era recato per raccogliere prove su un altro duplice omicidio, quello del francescano Carlos De Diós Murias e del cappuccino Gabriel Longueville, trucidati dai militari poco prima, il 18 luglio di quello stesso 1976. Per loro la diocesi de La Rioja ha iniziato l’iter di beatificazione nel 2011. Proprio la volontà delle Forze armate di far sparire il dossier sul delitto dei due religiosi, avrebbe determinato la “condanna a morte” di monsignor Angelelli. Ora, però, giustizia è fatta. Ma l’Argentina «deve continuare a camminare» per chiudere la pagina più buia della sua storia, l’ultima dittatura militare. Monsignor Angelelli ha vissuto solo l’inizio di quel periodo feroce. L’occhio attento del pastore aveva già intuito nelle violente contraddizioni sociali argentine il terreno fertile in cui la violenza avrebbe potuto dilagare. Da qui l’impegno, negli otto anni come pastore di La Rioja e prima, a Córdoba, come vescovo ausiliare, in favore dei lavoratori sfruttati, il sostegno alle associazioni sindacali, l’assistenza agli emarginati. «Un uomo di incontro e periferie», l’ha definito nel 2006, l’allora arcivescovo di Buenos Aires, Jorge Mario Bergoglio. Un «nemico» per i militari che l’accusavano di marximo per la sua «fedeltà a Cristo e al popolo di Dio». La persecuzione non lo ha mai fatto indietreggiare di un solo passo.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: