martedì 1 marzo 2011
Migliaia di profughi sono ammassati davanti alla recinzione al confine tra Libia e Tunisia, per cercare di entrare in territorio tunisino. A stento l'esercito riesce a controllare la situazione. Da Mosca arriva un duro giudizio su Gheddafi: cadavere politico. Franco Frattini: il Colonnello cadrà, non è più un interlocutore credibile.

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"È indispensabile" mantenere alta la pressione sulla no-fly zone perché "non si deve dare tregua al regime di Gheddafi e l'Italia "è pronta a sostenere l'opzione che prevede l'uso di basi italiane se c'è una risoluzione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite". Lo ha detto il ministro degli Esteri Franco Frattini. Il ministro ha comunque ricordato che per il momento "non c'è ancora una determinazione forte" nel Consiglio, a partire da Russia e Cina. Muammar Gheddafi "cadrà", forse "non domani mattina" ma sicuramente "entro qualche settimana": ha aggiunto Frattini. Il colonnello, ha ripetuto il ministro, ormai "non è più un interlocutore per nessuno", tantomeno per l'Italia.Migliaia di profughi, almeno 12mila, sono ammassati davanti alla recinzione al confine tra Libia e Tunisia, un lembo di terra di soli 100 metri, per cercare di entrare in territorio tunisino. A stento l'esercito riesce a controllare la situazione. Per cercare di calmare la folla, i soldati stanno lanciando pane e bottiglie di acqua al di là della recinzione. La ressa viene risparmiata a donne e bambini, che vengono intercettati e fatti entrare da altro varco. Il resto della folla, una vera e propria marea umana chiusa in un recinto, deve attendere di passare attraverso cinque corridoi pedonali per accedere alla Tunisia. Il cancello resta comunque chiuso e chi passa lo fa scavalcando la recinzione con l'aiuto dell'esercito tunisino, la cui presenza appare esigua rispetto alla situazione che si è venuta a creare. "Si fa concreto il rischio di una catastrofe umanitaria con migliaia di sfollati interni, rifugiati e richiedenti asilo che si potrebbero riversare in tutto il Nord Africa e nella sponda nord del Mediterraneo". È l'allarme lanciato dalla Caritas italiana che scrive alle diocesi italiane per sollecitarle alla mobilitazione. "La rivolta, iniziata in Tunisia, le inquietudini che si sono manifestate praticamente in tutti i Paesi musulmani, dal piccolo Gibuti nel Corno d'Africa fino allo sconosciuto Yemen e perfino all'Arabia Saudita - spiega la Caritas in un comunicato sul suo sito -, non si spiegano solo con la povertà, la disoccupazione, la corruzione o la crisi culturale del mondo islamico, elementi pure presenti in varia misura. Ma, associandoci alle parole pronunciate dal presidente della Cei, il cardinale Angelo Bagnasco, riteniamo che "Quando un popolo viene oppresso per troppo tempo da un regime che non rispetta i diritti umani, prima o poi scoppia" Il leader libico Muammar Gheddafi è un "cadavere politico senza alcun posto nel mondo moderno civilizzato". L'affondo arriva da una fonte interna al Cremlino, citata dall'agenzia stampa Interfax. La fonte russa, che ha parlato in condizione di anonimato, ha anche rivelato che il presidente Dmitry Medvedev "fin da subito ha reagito negativamente" alla violenza delle autorità libiche nei confronti dei manifestanti antiregime. La notizia arriva dopo un lungo silenzio da parte di Mosca.GHEDDAFI "ASSEDIATO" TRATTAIl confine è invisibile, mobile. Era a 400 chilometri da Tripoli, domenica. A duecento ieri. Di qui, a Ovest, il regime di Muammar Gheddafi; di là, in un “Est” che si fa sempre più vicino, i rivoltosi. Le città orientali liberate – Bengasi, Beisa, Derna, Tobruk – si stanno coordinando per collaudare il “Consiglio nazionale libico” che dovrebbe far ripartire il Paese. È una specie di governo di transizione, con sede provvisoria a Bengasi (almeno fino alla liberazione di Tripoli), lanciato sabato scorso dall’ex ministro della Giustizia Mustafa Abdeljalil (tra i primi a voltare le spalle a Gheddafi) e nato domenica. L’iniziativa ha raccolto il favore di Stati Uniti e Ue, che hanno avviato contatti con i leader della rivolta. E rinnovato l’appoggio ai manifestanti. Chiaro segnale: la Casa Bianca ha riposizionato le sue navi di fronte alle coste libiche «per essere pronta o ogni eventualità». Ma il compito politico è tutt’altro che facile. Perché sul nome di Abdeljalil non c’è il consenso unanime dell’opposizione. E perché la situazione sul campo non aiuta certo una svolta. I manifestanti controllano la Cirenaica. Ieri hanno conquistato anche l’aeroporto militare di al-Banin (pochi chilometri da Bengasi). Arruolano migliaia di volontari per preparare l’attacco finale su Tripoli. Ma il regime non sta fermo a guardare. Ieri i caccia dell’aviazione hanno bombardato depositi di munizioni in due località a sud di Bengasi. E i raid sono proseguiti per lunghe ore su tutta l’area. Questo mentre, dalla capitale, il colonnello organizzava “aperture”. Secondo al-Jazeera, Gheddafi avrebbe infatti incaricato l’ex capo dell’intelligence all’estero, Bouzaid Dordah, di negoziare con i capi della rivolta nell’est. La mossa non è stata confermata ufficialmente. Quel che è certo, stride con quanto il colonnello ha fatto sinora. Con quanto ha detto. E con quanto ha ripetuto ieri sera, in un’intervista, tutt’altro che conciliante, alla giornalista della Abc Christiane Amanpour. «Tutto il popolo mi ama, morirebbero per proteggermi», ha esordito Gheddafi, sottolineando di non aver mai visto manifestanti a Tripoli e di non aver mai dato ordine di sparare sulla folla. Il rais ha quindi lamentato di essere stato «tradito» dai Paesi occidentali amici, Stati Uniti in testa: «Avevamo un’alleanza contro al-Qaeda e ora che stiamo combattendo il terrorismo ci hanno abbandonato». Gheddafi ne ha avute anche per il presidente Obama, «bravo ma disinformato». E ha insinuato che «forse gli Usa vogliono occuparci».Nel pomeriggio, parole altrettanto dure erano arrivate dal portavoce del governo, Ibrahim Moussa, che aveva accusato «gli imperialisti occidentali e al-Qaeda» di fomentare la rivolta. «Se la Libia sarà attaccata ci saranno migliaia di morti», aveva detto.Del resto, come intenda risolvere i problemi del Paese Gheddafi lo ha dimostrato anche ieri. A Misurata, città 200 chilometri a est di Tripoli parzialmente controllata dai rivoltosi, il regime ha spedito alcuni elicotteri a bombardare una stazione radio. Uno dei velivoli è stato abbattuto dai ribelli e i cinque membri dell’equipaggio sono stati catturati. Mentre si è combattuto tutto il giorno per il controllo della vicina base dell’aeronautica militare. Un testimone ha riferito che miliziani del regime hanno sparato sui passanti, uccidendone almeno due. Tensione anche a Zawia, (50 chilometri a ovest di Tripoli), dove l’opposizione sta concentrando le forze nel timore di un contrattacco del regime. Circa duemila uomini fedeli al colonnello hanno circondato la città. Tre soldati sarebbero già stati uccisi in sporadici scontri nel centro. «Attaccheranno presto – ha fatto sapere un ex maggiore della polizia che si è unito alla protesta – faremo del nostro meglio per respingerli».Sembra sotto il controllo dell’esercito, invece, Sabrata. Sicuramente presi tutti i pozzi petroliferi. L’opposizione ha anche annunciato di aver riaperto le esportazioni. Quanto a Tripoli, secondo al-Arabiya il regime starebbe procedendo ad arrestare i militari che nei giorni scorsi hanno disertato. Mentre la gente continua a restare barricata in casa. Un corteo anti-Gheddafi è stato disperso dalle forze di sicurezza che hanno sparato in aria. Barbara Uglietti
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