domenica 28 dicembre 2008
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Poche città al mondo hanno visto alter­narsi così tanti padroni in un paio di secoli. Occupata dall’esercito di Na­poleone nel corso della sua campagna d’E­gitto, Gaza è tornata sotto dominio ottoma­no fino al 1917 quando è passata, col resto della Palestina, sotto dominio britannico, di­ventato mandato ufficiale nel 1922. Nel 1947, il piano di spartizione assegna il territorio di Gaza al futuro ( e mai nato) Stato arabo, ma al termine del primo conflitto arabo- israe­liano, la città passa invece, insieme al suo hinterland, sotto l’amministrazione egizia­na pur mantenendo uno statuto autonomo. Nasce così ufficialmente la cosiddetta ' Stri­scia di Gaza', un piccolo cordone di terra di appena 360 chilometri quadrati che corre per 45 chilometri lungo il Mediterraneo con una larghezza che varia tra 5 e 10 chilome­tri. Nel 1956, durante la campagna di Suez, la città conosce la prima occupazione israe­liana. Si tratta comunque di un dominio provvisorio e gli egiziani vi tornano ancora per una decina d’anni. Fino alla guerra dei Sei giorni del giugno 1967, quando la Striscia entra a far parte delle nuove conquiste i­sraeliane, insieme alla Cisgiordania, Geru­salemme Est, il Sinai e il Golan. Il territorio di Gaza rimane tutta­via un ' boccone' tra i più difficili da digerire. I circa ottomila coloni ebrei che vi eleggono domicilio in meno di tre decenni di occupa­zione non riescono, come in Cisgiordania, ad alterare minima­mente l’identità di un territorio che ha visto crescere in maniera e­sponenziale la popolazione: 70mila abitan­ti nel 1947, 200mila nel 1949, 360mila abi­tanti nel 1967, un milione nel 1997, un mi­lione e mezzo oggi, il che fa di Gaza il terri­torio con la più alta densità al mondo. Il 65 per cento della popolazione è costitui­to da profughi originari dei villaggi arabi en­trati nel 1948 a far parte dello Stato ebraico. Molti di loro, circa mezzo milione, vivono da allora in otto campi allestiti dall’Onu. Il cam­po profughi più grande è quello di Jabalia ( oltre 100mila abitanti), seguito da quelli di Rafah ( 90mila) e di Gaza Beach ( 75 mila). Gaza diventa presto una concentrazione di miseria e di rabbia tra i più infiammabili. Durante la prima In­tifada, scoppiata pro­prio qui alla fine del 1987, il premier israe­liano Yitzhak Rabin definisce la Striscia « una bomba a orolo­geria » a motivo della sua miscela di islam fondamentalista e di­soccupazione. Con un tasso di disoccupa­zione che tocca il 40 per cento e un reddito pro capite di 1250 dollari ( equivalente alla metà di quello dei palestinesi residenti nel­la Cisgiordania), la Striscia costituisce per Hamas una miniera d’oro per il recluta­mento di partigiani. Gaza City è stata, insie­me a Gerico, una delle prime città palestinesi a essere consegnate alla nascitura Autorità nazionale palestinese ( Anp) nel quadro del­l’applicazione degli Accordi di Oslo. La fir­ma, il 4 maggio 1994, dell’Accordo del Cai­ro, poi l’arrivo, cinque giorni dopo, dei pri­mi 300 agenti di polizia dell’Olp, e infine il rientro, il 1° luglio, di Yasser Arafat nella città dopo lunghi anni di esilio, segnano l’inizio dell’Anp. ù Ma Gaza ha continuato ad essere una roc­caforte di Hamas, il principale oppositore al processo di pace. Una fitta rete organizzati­va che ha permesso al movimento radicale di prendere il controllo di numerose mo­schee e istituzioni civili. Già alle elezioni del­l’università islamica del 1998, i sostenitori di Hamas raccolsero il 77 per cento dei seg­gi ai consigli di facoltà, mentre i sostenitori di Arafat si dovettero accontentare del 15 per cento. Nell’agosto del 2005, il governo di A­riel Sharon decide di scaricare la 'patata bol­lente' ordinando lo sgombero totale - tal­volta con la forza - delle 21 colonie ebraiche presenti nella Striscia. L’intero territorio di Gaza è così passato, per la prima volta, sot­to controllo palestinese. Nessuno poteva però immaginare che la fe­sta per la liberazione potesse essere di bre­ve durata. Nel giugno 2007 i militanti di Ha­mas, forti della vittoria elettorale consegui­ta alle ultime legislative, compiono ciò che i partigiani di Abu Mazen definiscono un 'golpe militare': prendono cioè il totale con­trollo della Striscia dopo aver sconfitto in battaglia le forze militari e di polizia fedeli al presidente dell’Anp. Nasce così nella Stri­scia un mini- Stato islamico, per di più osti­le alla politica ufficiale di negoziati tra Anp e Israele. Viene decretata da Tel Aviv, con il tacito consenso di Mubarak, una chiusura quasi ermetica dei confini di Gaza con Israele e l’Egitto. Ideato per isolare e indebolire il governo ' secessionista' di Hamas attraver­so la riduzione delle forniture di carburan­te, il blocco finisce – come insegna il prece­dente dell’Iraq sotto Saddam Hussein – per peggiorare ulteriormente le condizioni di vi­ta della popolazione civile. La penuria di pro­dotti essenziali provoca spesso scene di rab­bia generalizzata, come l’abbattimento di alcune postazioni di frontiera con l’Egitto al valico di Rafah, al­lo scopo di permette­re a migliaia di perso­ne di rifornirsi di vari generi di prima ne­cessità presso i nego­zi egiziani sul confine. Molte organizzazioni internazionali condannano l’embargo, altre cercano di romperlo inviando non solo na­vi cariche di cibo e medicinali, ma anche propri delegati. Inizia contestualmente un braccio di ferro tra Hamas e Israele, per il quale il blocco è una misura necessaria per tentare di impedire il lancio di razzi Qassam contro i suoi cittadini. Nell’ambito di una tregua di sei mesi mediata nel giugno 2008 dall’Egitto, Hamas accetta di porre fine al lancio dei razzi in cambio di un alleggeri­mento del blocco da parte di Israele. In realtà, sul terreno i miglioramenti sono po­chi. Fino al 18 dicembre, data in cui Hamas annuncia ufficialmente la fine della tregua, Israele ha lamentato il lancio di oltre tre­cento razzi, mentre il governo di Hamas ha denunciato la morte di una ventina di palesti­nesi in incursioni ae­ree e terrestri contro il suo territorio. La resa dei conti finale poteva essere solo una que­stione di tempo.
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