martedì 2 marzo 2021
Marco Salemi ordinario di patologia sperimentale alla facoltà di medicina dell’Università della Florida: i vaccini riducono la mortalità non il contagio
Marco Salemi

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Se la profezia di Makary non poggiasse sugli indefettibili numeri della Johns Hopkins University nessuno crederebbe che «la pandemia da Covid sarà sparita in gran parte entro aprile». In effetti, così ha dichiarato nei giorni scorsi Marty Makary, professore della Johns Hopkins School of Medicine. Numeri o non numeri, tuttavia, la prospettiva di una fine dell’incubo non convince il Cdc di Atlanta, che si è subito premurato di ribattere: «Il virus non ha finito con noi». Abbiamo chiesto a Marco Salemi, ordinario di patologia sperimentale alla facoltà di medicina dell’Università della Florida e direttore della fondazione Holloway, che si occupa di ricerca sulle malattie infettive, a chi dobbiamo credere.

Perché su un tema tanto serio emergono posizioni diametralmente opposte da istituzioni scientifiche di prim’ordine?
Di fronte a una epidemia del genere sono possibili delle differenze di opinioni tra scienziati, in quanto esistono diversi modelli matematici che cercano di prevedere l’evoluzione dell’epidemia ma tutti hanno un margine di errore, quindi i risultati dell’analisi dipendono molto dall’interpretazione umana…

Lei a chi crede?
La mia opinione è che il Centers for disease control and prevention (Cdc) abbia ragione e che sia estremamente ottimista pensare che entro aprile sarà tutto finito: abbiamo dei vaccini che sono molto efficaci, non tanto nel prevenire l’infezione, dal momento che i vaccinati possono reinfettarsi, ma nel’abolire la mortalità. Sia Pfizer, che Moderna e anche Jonhson&Johnson vanno in questa direzione. Addirittura, il terzo, pur conferendo una minore protezione degli altri garantisce un abbattimento generale della letalità. Ciò detto, la popolazione mondiale vede aumentare i contagi e la vaccinazione va a rilento. Negli Usa si vaccina un milione di persone al giorno, si punta a raggiungere i 200 milioni, ma ci vorranno cinque mesi per averne 150. A questo, aggiungiamoci le mutazioni.

Qual è l’impatto delle varianti negli Usa?
Abbiamo problemi analoghi ai vostri, con l’aggiunta che quella californiana potrebbe essere più letale e diminuire la risposta immunitaria, inficiando la vaccinazione. Più un virus circola, più accumula mutazioni: non mi sentirei di escludere che emergano varianti letali, contagiosi e resistenti ai vaccini.

Quanto contano gli asintomatici nella difficoltà di fermare la pandemia?
Molto, perchè sfuggono al tracciamento. Oggi si contabilizzano 114 milioni di infetti nel mondo, ma sono sicuramente di più. Una situazione che rende molto più incerta la “fine” del virus.

Quali sono le responsabilità degli scienziati di fronte a quest’incertezza?
Difficile accusarci di alcunché: ci misuriamo con un virus sconosciuto fino a gennaio 2020 e abbiamo già un vaccino, mentre per l’Hiv ancora non è stato trovato, dopo quaranta anni. Solo nell’ultimo anno, poi, sono uscite migliaia di articoli scientifici sul coronavirus…

E quali colpe ha la politica?
Le istituzioni hanno subito un collasso. Considerate che negli Usa la decisione di imporre la mascherina è di un mese e mezzo fa e impegna solo i dipendenti degli uffici federali. Non si capisce che con questo virus non si scherza, perché se lo si lascia circolare si rischiano mutazioni resistenti al vaccino.

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