mercoledì 14 aprile 2021
Qualcosa come 1,25 milioni di tonnellate di liquido finirà nell'oceano non prima di due anni. L'ira della Cina: decisione irresponsabile
Proteste a Kyodo contro la decisione del governo giapponese

Proteste a Kyodo contro la decisione del governo giapponese - Reuters

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Mancava solo l’ufficializzazione. Il Giappone ha rotto gli indugi. Le acque di raffreddamento della centrale di Fukushima – “sferzata” nel marzo 2011 dal doppio colpo del terremoto di magnitudo 9 e del successivo tsunami – saranno rilasciate in mare. «In base ai protocolli più rigidi e alle autorizzazioni delle autorità di regolamentazione, a partire dall’Aiea, l’Agenzia internazionale per l’energia atomica», ha puntualizzato la Tepco, l’utility che gestisce l’impianto. Un “muro” d’acqua: qualcosa come 1,25 milioni di tonnellate di «liquido complesso», come viene definito, finirà in mare non prima di due anni.
Un scenario da incubo, nonostante le rassicurazioni giapponesi. Destinato a produrre un immediato (e inedito) contraccolpo geopolitico: saldare Paesi tra loro tradizionalmente ostile in un fronte comune contro il Giappone. La Cina si è precipitata a bocciare la decisione di Tokyo come «estremamente irresponsabile»: Pechino si è detta certa che essa «nuocerà gravemente alla salute e alla sicurezza pubblica nel mondo oltre che agli interessi vitali dei Paesi vicini». Altrettanto irata la reazione della Corea del Sud. Seul – che ha convocato l’ambasciatore giapponese – ha parlato di una decisione «unilaterale», esprimendo «profonda preoccupazione sui potenziali rischi alla salute e all’ambiente». Taiwan, a sua volta, ha parlato di una scelta «deplorevole».
Cosa avverrà ora? Quale sarà il processo che garantirà la sostenibilità ambientale dell’operazione? Secondo quanto annunciato dalla stessa Tepco, l’acqua pompata per raffreddare il combustibile danneggiato, miscelata con pioggia e acque sotterranee anch’esse contaminate, viene ripulita usando un avanzato sistema di trattamento dei liquidi, noto come Alps. Il processo rimuove gran parte degli elementi radioattivi, inclusi stronzio e cesio, ma lascia il trizio che è correlato all’idrogeno ed è di difficile separazione dall’acqua. Le operazioni di filtraggio prevedono la rimozione dei radioisotopi e la contestuale diluizione dell’acqua fino a raggiungere livelli di trizio sotto i limiti normativi, fino al pompaggio finale nell’oceano.
La decisione del governo giapponese, guidato da Yoshihide Suga, arriva dopo anni di accesi (e controversi) dibattiti. «L’eliminazione dell’acqua trattata è un tema inevitabile nel quadro dello smantellamento dell’impianto di Fukushima», ha detto Suga. La manutenzione della centrale atomica genera l’equivalente di 140 tonnellate giornaliere di acqua contaminata, che nonostante venga trattata negli impianti di bonifica, continua contenere il trizio, un isotopo radioattivo dell’idrogeno. Poco più di 1.000 serbatoi si sono accumulati nella area adiacente all’impianto, e secondo il gestore della centrale, le cisterne raggiungeranno la massima capacità consentita entro l’estate del prossimo anno. In gioco, secondo Greenpeace, ci sono «i diritti umani e gli interessi della gente di Fukushima e in generale del Giappone e della parte di Asia che si affaccia sul Pacifico». La Ue si aspetta che «il Giappone garantisca la sicurezza di qualsiasi scarico nel pieno rispetto delle i suoi obblioghi.

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