mercoledì 2 ottobre 2013
Il leader Xi scopre il valore moralizzatore delle religioni. L’accenno all’importanza delle confessioni tradizionali fa sperare in una maggiore tolleranza Resta il nodo di quelle di «provenienza esterna», fortemente limitate dal regine cinese.
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Non solo partito e non solo denaro. La Cina che cambia e che ha bisogno di riformare le sue strutture sociali sembra tornare a guardare anche alla religione per rafforzare la morale e sostituire la corsa all’arricchimento con una maggiore benessere spirituale.Le indiscrezioni emerse dai collaboratori del presidente Xi Jinping aprono uno scenario nuovo per il tono esplicito della proposta, già percepibile in suoi recenti interventi. La costante insistenza di Xi verso una riforma del potere in senso etico si affianca all’avvertimento che, senza una lotta alla corruzione e alla degenerazione morale, il Paese si avvia su una china pericolosa. Tra il 2008 e il 2012, sono stati oltre 140mila i funzionari governativi arrestati per corruzione o abuso d’ufficio. In brusco aumento anche la criminalità, sia comune, sia organizzata. La “preoccupazione” espressa domenica dal Xi Jinping rispetto «a quello che vede come il declino morale e l’ossessione del denaro», si affianca alla speranza che «le culture tradizionali» segnate dalle fedi maggiori: confucianesimo, buddhismo e taoismo «aiuteranno a riempire un vuoto che ha permesso alla corruzione di fiorire».Come ricorda Asia News, «al presente, Xi ha lanciato un’ennesima campagna di tolleranza zero contro i membri del Partito che si distaccano dalle masse e scivolano nell’illegalità (insieme a lussuria e consumismo) riproponendo perfino le sessioni di autocritica come ai tempi di Mao». «Il processo a Bo Xilai, ex segretario del partito a Chongqing, o quelli in preparazione contro Zhou Yongkang, ex ministro della Sicurezza, e Jiang Jiemin, ex presidente della China National Petroleum Corporation – ricorda l’agenzia – sembrano voler essere esemplari». L’accenno alle tre fedi tradizionali cinesi sembra indicativo, anche sul piano di un maggiore tolleranza di istanze religiose di origine locale che – come nel caso del gran numero di sette di derivazione taoista – in certe regioni del Paese mettono in discussione, quanto a seguito popolare, il potere del partito.Il caso delle religioni di provenienza esterna, seppure ammesse dalla Costituzione, protestantesimo, cattolicesimo e Islam, è una questione differente. È indubbio, tuttavia, che le potenzialità del cristianesimo, più volte evidenziate dagli esperti, sono da un lato oggi limitate da regolamenti, dall’altro potrebbero indicare ai cinesi modalità diverse di crescita e di convivenza all’interno del sistema. Come sostenuto recentemente dal professor Liu Peng, dell’Accademia delle Scienze di Pechino, citato da AsiaNews, lo Stato non dovrebbe controllare le religioni, ma dotarsi di una legge che le tuteli e che consenta loro di penetrare nella società per ridare consistenza, moralità, coesione, ideali dentro e oltre la storia.Le statistiche governative segnalano 50 milioni di buddhisti e taoisti, 23 milioni di protestanti, 21 milioni di musulmani e 5,5 milioni di cattolici su un totale di quasi 1,4 miliardi di cinesi. Tuttavia, in base a dati più plausibili, i praticanti di buddhismo, taoismo e religioni popolari potrebbero arrivare a 300 milioni e i cattolici a 12.
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