venerdì 4 febbraio 2011
L'instabilità dei mercati dei prodotti agricoli e la conseguente volatilità dei prezzi «ha incidenze molto gravi sulla sicurezza alimentare mondiale» e non appare fuori luogo l'evocazione dello spettro «delle rivolte del pane scoppiate in 22 Paesi nel 2007-2008». A porre il problema in questi termini è stato il direttore generale della Fao, Jacques Diouf.
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Solo poche settimane fa la Fao aveva messo in guardia sulla tendenza al rialzo dei prezzi del cibo, rilevando come questi abbiano raggiunto nel 2010 i livelli più alti di sempre. Ora quell’allarme sembra già trovare riscontro nella realtà. Lo stesso paniere misurato dall’agenzia alimentare dell’Onu ha aggiornato i massimi a gennaio, mentre gli indicatori mondiali dell’inflazione puntano verso l’alto, trainati proprio dalla sua componente più imprevedibile, quella dei generi alimentari.Il direttore generale della Fao, Jacques Diouf, ha affermato ieri che «c’è il rischio concreto di una crisi alimentare globale». In una conferenza stampa con il ministro francese dell’Agricoltura, Bruno Le Maire, Diouf ha spiegato che «servono un’azione strutturale e regole certe per eliminare quelle storture del mercato che oggi permettono le speculazioni». La Francia, presidente di turno del G20, si è già pronunciata per una regolamentazione più stringente del mercato delle materie prime. Secondo il numero uno della Fao «il commercio internazionale dei prodotti agricoli non è né libero né equo. Abbiamo bisogno di più disciplina in materia di restrizione alle esportazioni», poiché queste «portano all’aumento della volatilità dei prezzi e mettono in pericolo la sicurezza alimentare dei Paesi più vulnerabili». Diouf ha inoltre sottolineato che serve anche «un quadro regolamentare più efficace» per i mercati dei futures, così da «evitare le speculazioni eccessive». Diouf ha lamentato anche la riduzione degli Aiuti pubblici allo sviluppo all’agricoltura e ha sottolineato che la produzione dovrà crescere del 70% se si vuole continuare a nutrire il pianeta. «Il mondo – ha detto – deve re-investire nell’agricoltura per scongiurare crisi e rivolte» (dopo quelle in Tunisia ed Egitto, ndr). La Francia ha convocato per il prossimo giugno un G20 dei ministri dell’Agricoltura, il cui compito sarà quello di elaborare nuove regole. Le ultime previsioni degli analisti stimano un’impennata dei prezzi del cibo pari al 30% quest’anno, e nel peggiore degli scenari del 75%.  A pesare sono anche le quotazioni del petrolio e dei suoi derivati, che si avvicinano altrettanto pericolosamente ai picchi sperimentati nel 2008, anno della "bolla" delle materie prime che secondo diversi economisti contribuì a condannare le economie sviluppate alla recessione. Se la legittima preoccupazione della Fao è quella di proteggere gli ultimi della Terra, difendendoli dai rincari e garantendogli un pasto adeguato alla sopravvivenza, è altrettanto vero che le fiammate del carovita lambiranno quest’anno l’intera popolazione globale. Persino i milionari studiano contromosse per mettere al riparo i loro ricchi portafogli d’investimento. Ma a parte questa nota di colore, per le autorità mondiali la sfida è salvaguardare la ripresa economica ancora lenta e soprattutto diseguale. Un difficile equilibrio tra l’esigenza di ripartire con più slancio dalla crisi e la necessità di stringere i rubinetti della liquidità per tenere a bada l’inflazione. Le sirene suonano dal Brasile alla Russia, dall’Europa agli Stati Uniti. Ma l’epicentro di questo terremoto è da ricercare probabilmente in Cina. Il principale attore commerciale del pianeta fa di nuovo i conti con un’economia "surriscaldata" e ha mutato repentinamente la sua politica monetaria da «accomodante» a «prudente». Anche l’India, che ha visto il tasso d’inflazione superare l’8%, ha alzato di un quarto di punto i tassi di interesse. Gli effetti di questa congiuntura si ripercuoteranno però sulle economie avanzate in diversi modi. 1) Saranno costrette a importare inflazione. 2) A causa delle politiche restrittive nelle economie emergenti assisteranno a una frenata dei propri investimenti in quei Paesi. A partire appunto dalla Cina. 3) Esse stesse dovranno prima o poi alzare il costo del denaro, anticipando le strategie d’uscita dalle politiche espansive, ma in un contesto di difficile ripresa economica. Il Regno Unito per esempio ha visto il Pil contrarsi a sorpresa nel quarto trimestre del 2010, ma l’inflazione viaggia al ritmo del 3,7% annuo. E nell’Eurozona il tasso ha raggiunto a gennaio il 2,4%. Il petrolio potrebbe superare quest’anno i 100 dollari al barile (per il Brent è già accaduto).L’amministratore delegato di General Motors, Dan Akerson, ha convocato a Detroit i 270 manager del colosso dell’auto e ha posto loro la seguente domanda: «Siete pronti al petrolio a 120 dollari e alla benzina a 4 dollari per gallone?». Certo le previsioni possono anche essere smentite. Dopo ogni intervento delle banche centrali cinese e indiana le quotazioni delle materie prime sono temporaneamente calate, segnalando però minore fiducia nella ripresa economica. Gli scenari futuri dipendono dunque da come i governi utilizzeranno la leva monetaria.
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