sabato 28 agosto 2021
Ufficialmente le autorità locali parlano di «conflitto interetnico» e di «vendette». Gli indipendentisti negano tutto. Di fatto dietro gli scontri spuntano invece anche ragioni «politiche»
Truppe delle forze speciali Amhara nella città di Humera

Truppe delle forze speciali Amhara nella città di Humera - Reuters

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Un conflitto nel conflitto. Con le violenze che continuano nella regione del Tigrai, anche nella vicina Oromia è in corso una serie di massacri, apparentemente «interetnici», che faticano a trovare i riflettori della stampa. Oltre 200 persone sono state infatti assassinate durante gli ultimi giorni di brutali scontri. «Uomini armati legati all’Esercito di liberazione oromo (Ola) hanno ucciso circa 150 persone in Oromia nell’ultima settimana – ha riferito ieri la Commissione etiope per i diritti umani (Ehrc) –. Altre decine di civili sono morti in seguito a rappresaglie di matrice etnica in varie località del territorio».

Secondo le prime ricostruzioni, i miliziani dell’Ola sono entrati nella zona di Gida-Kirimu il 18 agosto dopo che l’esercito regolare si era ritirato dall’area per pattugliare altre località. Migliaia di famiglie, composte in gran parte da donne e bambini, sono state costrette a fuggire per salvarsi la vita.


400mila
persone soffrono di insicurezza alimentare per le violenze in corso in varie regioni del Paese


«Questi attacchi hanno provocato numerose uccisioni per vendetta – continuava una nota dell’Ehrc –. Almeno 60 civili sono rimasti vittime di questi scontri su base etnica». Si hanno comunque pochi dettagli sulle dinamiche di tali violenze. Per il momento non si sa infatti con precisione chi siano i responsabili delle rappresaglie scoppiate dopo gli attacchi dei ribelli oromo. Secondo alcune fonti la prima comunità presa di mira faceva parte dell’etnia Amhara che viveva nell’Oromia.

In un comunicato, però, i ribelli dell’Ola hanno negato di aver compiuto questi raid. «Non siamo responsabili di queste violenze – ha riferito Odaa Tarbii, uno dei leader del gruppo ribelle –. Queste notizie rappresentano una grande disinformazione rispetto ai fatti sul terreno». Episodi di simile brutalità si erano manifestati anche in passato. A maggio il Parlamento di Addis Abeba aveva definito i membri dell’Ola come dei «terroristi». I quali hanno da poco annunciato un’alleanza militare con i ribelli del Fronte per la liberazione del popolo tigrino (Tplf), anch’essi considerati terroristi. E questo apre inquietanti dubbi sulla «matrice etnica» dei massacri.


37 milioni
Gli oromo che, come etnia maggioritaria,
costituiscono cica il 35%
dell'intera popolazione etiope

Il governo ha accusato ieri l’Ola di «massacrare civili nelle regioni Oromia e Amhara». I ribelli oromo avevano rotto con il partito politico oppositore, un tempo in esilio, del Fronte per la liberazione degli oromo (Olf), quest’ultimo è tornato in Etiopia dopo che Il premier Abiy ha preso il potere nel 2018. Le autorità federali nella capitale etiope, Addis Abeba, hanno dimostrato di avere molte difficoltà nel gestire la guerra nella regione del Tigrai. Per questo motivo le ultime violenze in Oromia stanno aggravando una crisi molto complessa che, secondo le Nazioni Unite, ha già spinto «oltre 400mila persone sull’orlo della fame».

Il conflitto tra gli oromo e il governo federale dura da quasi 50 anni – sottolineano gli esperti –. Una vera autonomia della regione rispetto al resto del Paese sembra lontana nonostante Abiy Ahmed faccia parte di questa comunità».

Tra i leader che si sono battuti e sono morti per una maggiore autonomia degli oromo c’era Hachalu Hundessa, musicista ucciso con un colpo di pistola a 33 anni nel giugno del 2020 durante un periodo di violente proteste di piazza. «La crisi che stiamo vivendo non ha solo delle radici interne – aveva dichiarato alcuni mesi fa il premier Abiy –. Ci sono delle forze straniere che hanno interesse a rendere instabile l’Etiopia».

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