giovedì 29 settembre 2022
I principali indiziati sono Mosca, Kiev e perfino la Nato. Ma nel gioco del "a chi giova" zar Putin è in prima linea...
Una piattaforma del gasdotto North Stream in una foto d'archivio

Una piattaforma del gasdotto North Stream in una foto d'archivio - Ansa

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Un sommergibile sovietico s’incaglia a poche miglia di distanza da Ystad, nella Svezia meridionale. L’intelligence militare scruta scrupolosamente il fondale per poi concludere che si tratta di un banale incidente. Nessun pericolo per la sovranità di Stoccolma, né per la sicurezza del Mar Baltico, sul quale transitano battelli d’ogni tipo, anche quelli provenienti dal Golfo di Leningrado e dall’exclave russa di Kaliningrad, costretti comunque allo slalom obbligato fra gli stretti danesi, lo Skagerrak, il Kattegat e l’Øresund, quel Bosforo del nord senza il quale non si raggiunge il Mare del Nord.

Inutile perfino indagare: l’inchiesta della polizia viene scoraggiata e poi interrotta d’autorità, la verità non si saprà mai. Questione di Raison d’État. È la trama di un romanzo del 2009 di Henning Mankell, L’uomo inquieto, che ha come protagonista il commissario Wallander, un detective tenace che tuttavia non riuscirà a chiarire del tutto i molti lati oscuri della vicenda iniziata negli anni della Guerra fredda.

Ma abbiamo fondati sospetti che nemmeno la serie di esplosioni di lunedì scorso al largo dell’isola danese di Bornholm che hanno aperto delle falle nei gasdotti Nord Stream 1 e 2 che collegano direttamente la Germania e la Russia troverà una spiegazione convincente. Troppi sono gli indiziati: Mosca (che in un atto di deliberato sabotaggio manda un avvertimento alla Nato e all’Europa: attenti, non solo possiamo togliervi il gas, ma possiamo anche colpire le autostrade sommerse dell’energia e del traffico dati quando vogliamo), Kiev (che può facilmente additare Putin come il mandante dell’operazione, a testimonianza della spietatezza dello zar, pronto a qualunque espediente per non perdere la faccia dopo la sconfitta sul terreno) e perfino la Nato (o per essere più precisi, l’America).

Cui prodest?, è d’obbligo domandarsi, visto che i due Nord Stream (il 2 non è mai entrato in funzione, l’1 è fermo, ma il metano riempie ancora nei suoi condotti ed esplode in bolle gassose sulla superficie del Baltico) fanno parte di costosi investimenti congiunti fra Russia e Europa. Una risposta univoca non c’è, ma è certo che con la chiusura del rubinetto del gas la crisi energetica che l’Europa si sobbarca peggiora ulteriormente, mentre i prezzi inevitabilmente salgono (ieri a Amsterdam ha toccato i 205 euro) e la bolletta invernale si fa sempre più onerosa. Inutile nasconderlo: l’indiziato numero uno è Putin.

Ma non si può altresì negare che l’indipendenza energetica da Mosca che a fatica l’Europa insegue andrà a beneficio di altre nazioni, tra cui l’America. Che ci procurerà il metano a un prezzo tutt’altro che di favore, visto che arriverà via nave.

Ma torniamo, per così dire, sul luogo del delitto. Tra la fine di luglio e la fine di agosto ci siamo recati tra l’isola di Gotland e Kaliningrad, tra l’arcipelago delle Åland e il Golfo di Finlandia su cui si affacciano Helsinki e Tallin, ovvero nei meandri delle isole baltiche, dove Mosca e Stoccolma hanno da sempre giocato a rimpiattino fin dall’epoca dei due grandi blocchi studiandosi silenziosamente nelle acque neutrali di Svezia e Finlandia.

Potessimo radiografare i fondali (le intelligence militari di vari Paesi l’hanno sicuramente già fatto), troveremmo fra relitti e naufragi un cimitero di bad manners, quelle «cattive maniere» che prima l’Urss poi la Federazione Russa hanno adoperato per spiare i sistemi di difesa occidentali e di Svezia e Finlandia. A maggior ragione oggi, dopo che Stoccolma e Helsinki hanno deciso di rinunciare alla loro storica neutralità per aderire alla Nato.

Non a caso il Mar Baltico si è trasformato nella nuova Cortina di Ferro che separa il mondo occidentale dalla Russia di Putin. Sopra le sue acque sfrecciano quotidianamente i cacciabombardieri russi, a un pugno di chilometri delle basi polacche sulla penisola di Hen i piloti partiti da Kaliningrad testano capacità e tempi di reazione della Nato, e sempre qui Putin ha schierato i missili balistici Iskander con capacità nucleare, preannunciando che entro fine anno anche l’exclave potrebbe disporre del supermissile balistico intercontinentale Sarmat. Ovviamente dotato - come ci rammenta un giorno sì e uno no il brutale ventriloquo di Putin Dmitrij Medvedev - di testate nucleari.

Nessuna meraviglia: nel rischioso risiko ingaggiato dal Cremlino con l’Ucraina e la Nato, la forza intimidatrice prevale su ogni altra considerazione. Falle sottomarine comprese. Forse aveva ragione Seneca: cui prodest scelus, is fecit, il delitto l’ha commesso colui al quale esso giova.

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