sabato 7 maggio 2022
Il Partygate punisce pesantemente i Tory nelle votazioni locali, che perdono anche Westminster e il collegio della Thatcher. Il premier abbozza: «Penso di aver capito la lezione»
Il premier britannico Boris Johnson

Il premier britannico Boris Johnson - Reuters

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Le proiezioni danno il 35% ai laburisti, i conservatori si fermano al 30% e i liberali salgono al 19%.

Lo si è capito subito, a Wandsworth, municipio londinese a sud del Tamigi, che la lunga notte elettorale, tra giovedì e venerdì, avrebbe segnato una svolta. La vista all’ingresso della Civic Suite, l’ala del palazzo di città allestita per lo spoglio delle schede con cui gli elettori hanno rinnovato il consiglio comunale, è stata una distesa di coccarde rosse appuntate sulle giacche dei laburisti ammessi a monitorare la conta dei voti. Quelle blu dei Tory si notavano poco. Nel quartiere che è stato storico “feudo” della premier conservatrice Margareth Thatcher le proporzioni tra i due colori, e i rispettivi partiti, sono state inverse per 44 anni. La comparsa nel salone centrale di Sadiq Khan, sindaco laburista della capitale, ha certificato alle due del mattino, ore prima dell’annuncio ufficiale, che il passaggio a sinistra della roccaforte Tory, inespugnata dal 1978, si era compiuto.

Uno scossone non da poco per la politica locale, spesso termometro degli umori a livello nazionale, che a Londra è stato registrato anche altrove. I laburisti sono riusciti a mettere le mani su quelli che vengono definiti i comuni “gioiello” della tradizione Tory. Come Barnet, a nord, e Westminster che dal 1964, anno in cui è stato istituito, non ha mai, mai, avuto una maggioranza laburista.

I veterani della politica locale ricordano ancora bene quando, il 17 febbraio del 1978, la “Lady di ferro” si faceva fotografare mentre ripuliva dai rifiuti le strade di Wandsworth, laboratorio del thatcherismo che, un anno dopo, avrebbe portato a Downing Street. Quell’eredità Tory, oggi, nella capitale come in altre città di Inghilterra, Scozia e Galles, è sbiadita. Il premier Boris Johnson, additato da militanti e candidati come causa della crisi, legata a doppio filo, in particolare, al “Partygate”, ne è consapevole: «È stata una nottata difficile», ha commentato, «penso di aver capito la lezione». Ma, ha aggiunto, «dobbiamo andare avanti».

Il nuovo scenario della politica locale britannica sarà più chiaro in giornata quando i risultati si saranno assestati. Il numero dei seggi che i conservatori hanno visto andare in fumo fino a sera è 340. Gli osservatori sottolineano tuttavia che i laburisti non sono riusciti a capitalizzare il vantaggio di questo calo: certo, hanno portato nei comuni 209 nuovi consiglieri ma, fatta eccezione per Londra, le loro prestazioni non sono state brillanti. Neppure lungo la “red wall” delle cittadine che hanno votato Tory alle elezioni del 2019. Si distingue, invece, la performance dei Liberal Democratici che hanno fatto incetta di rappresentati locali eleggendone 165 in più rispetto alla precedente tornata. Bene anche i Verdi.

La Bbc ha stimato che queste proporzioni, proiettate a livello nazionale in voto politico, porterebbero i Labour al 35%, i Conservatori al 30% e i Lib Dem al 19%. Quadro molto diverso rispetto a quello delineato alle elezioni che, nel 2019, videro trionfare “re Johnson”.

Il voto di giovedì racconta, in sintesi, la crisi dei due più grandi partiti del Paese. Il “fattore Boris”, che ha inciso sullo sfaldamento dell’elettorato Tory, fa in paio con la debolissima leadership del laburista di Keir Starmer, protagonista di uno scandalo simile a quello del Partygate, e con il cosiddetto «long Corbyn», ovvero con gli strascichi della sinistra infetta, per similitudine con il «long Covid», dall’estremismo del predecessore Jeremy Corbyn.

A completare lo scenario è la svolta registrata in Irlanda del Nord dove si è votato per il rinnovo del Parlamento di Stormont a Belfast. Per la prima volta in generazioni il partito più votato è stato, come previsto, quello dei nazionalisti di Sinn Féin, ex braccio politico dell’Ira, che si sono aggiudicati il 29% dei consensi. Gli unionisti del Dup, roccaforte dell’orgoglio britannico e protestante nella regione, si sono fermati al 21,3%. Stando agli accordi di pace del Venerdì Santo che nel 1998 posero fine al conflitto tra protestanti e cattolici, britannici e irlandesi, il primo partito del Paese è chiamato a governare solo se il secondo accetta di farne da spalla. Il Dup, in polemica con Londra per gli effetti causati dalla Brexit, potrebbe non accettare la co-gestione. Il futuro è tutto da scrivere.

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