sabato 3 marzo 2012
​Nei sondaggi "zar Vladimir" è oltre il 60% nella corsa al Cremlino, ma sembra impegnato a non stravincere. Alle urne 110 milioni di persone. Reportage di Luigi Geninazzi
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Gli elettori chiamati a votare per il Cremlino domenica sono circa 110 milioni. Potranno contare su 94.500 seggi, che resteranno aperti dalla 8.00 alle 20.00. Nel Paese più grande del mondo, con nove fusi orari, i primi ad andare alle urne saranno gli abitanti dell'estremo oriente russo (oggi alle 24.00 ora di Mosca, le 21 italiane), gli ultimi quelli dell'enclave russa di Kaliningrad (domani alle 21 ora di Mosca, le 18 in Italia): dopo ci saranno i primi exit poll.

Le uniche facce che compaiono sui manifesti elettorali ai lati dei vialoni intasati dal traffico sono quelle dei candidati a perdere. Il vetero-comunista Zjuganov, l’eterno funambolo Zhirinovskij, il neo-miliardario Prokhorov, il triste burocrate Mironov. Manca lui, il super-favorito nelle presidenziali di domani. Nessun ritratto, solo un panneggio bianco-rosso-blu ed una scritta: «Insieme verso la grande Russia». E ancora: «Il tuo voto per la vittoria».Di chi? Bisogna aguzzare gli occhi per scoprirlo in alto a sinistra dove, in caratteri minuscoli, si può leggere: V.V. Putin 2012. Chi l’avrebbe detto? Vladimir Vladimirovic, campione di modestia. Dopo dodici anni passati al potere, otto da presidente e quattro da primo ministro, Putin si prepara a tornare al Cremlino per altri sei con l’opportunità di raddoppiare, a seguito di un emendamento costituzionale. Teoricamente potrebbe restare in carica fino al 2024 quando avrà 72 anni, aggiudicandosi il primato del leader più longevo dai tempi di Stalin. Una prospettiva che fa storcere il naso a molti russi, colpiti dall’arroganza con cui lo scorso 24 settembre Putin rivelò che nel 2008 lui e Medvedev si erano accordati per scambiarsi i posti anche nel 2012. Ed i massicci brogli nelle elezioni parlamentari dello scorso dicembre sono stati la classica goccia che ha fatto traboccare il vaso. A migliaia sono scesi in piazza per ricordare al nuovo zar che «non può disporre della Russia a proprio piacimento», ci dice Piotr Shkumatov, inventore della campagna  per togliere le sirene blu dalle auto dei burocrati che sfrecciano impunemente provocando spesso terribili incidenti. Esperto di Internet, già manager di una società di telefonia, è il tipico rappresentante della classe media moscovita. Ha fatto soldi e adesso si dedica a tempo pieno alla “Lega degli elettori”, il movimento civico che si batte per una «Russia senza Putin». «Abbiamo rotto lo stereotipo di un Paese sottomesso e rassegnato dando vita ad una protesta pacifica, ironica, creativa, che ha colto di sorpresa un potere troppo sicuro di sè», commenta soddisfatto. All’inizio Putin ha reagito nel solito modo, accusando i manifestanti di essere al soldo di potenze straniere, deridendoli come «scimmie» e «criceti di Internet», schernendo con una battuta triviale i loro nastri bianchi che «gli sembravano dei profilattici». Ma poi, di fronte al crescente attivismo della nuova opposizione, ha cambiato strategia. Ha evitato di reprimere le dimostrazioni lasciando libero spazio al dissenso. Nei notiziari delle tv controllate dal governo si fa cenno alla «gente delle Paludi», in riferimento ai contestatori che si radunano in piazza Bolotnaya (che significa appunto palude). Incredibile ma vero, ai talk-show vengono invitati esponenti dell’opposizione extra-parlamentare.Il che non toglie che ad occupare in modo debordante ogni schermo tv sia sempre “zar Vladimir”. Non nei noiosi dibattiti pre-elettorali boicottati dal futuro presidente, ma in ogni altro tipo di programma dove il primo ministro è onnipresente. Immortalato in look casual, il volto ringiovanito da quel che molti sospettano un trattamento al botox, Super-Putin gira l’immensa Russia bloccando l’aumento delle bollette ai poveri pensionati, imponendo ad una banca di risarcire i piccoli azionisti, sollecitando sconti sul prezzo della benzina a favore degli agricoltori. Nelle ultime settimane, intervenendo ogni lunedì su un diverso giornale, si è lanciato in promesse grandiose. Aumenti del 200% degli stipendi di medici e insegnanti, riduzione del 30% dei costi delle abitazioni, incentivi alle famiglie per contrastare la denatalità che minaccia la popolazione russa, spese militari colossali per un valore di 600 miliardi di euro nei prossimi dieci anni. Quindi ha sfidato gli oppositori sul loro stesso terreno, intervenendo a grandi manifestazioni popolari che lo hanno acclamato come leader indispensabile per la Russia. «Siamo disposti a morire per difendere la nostra patria!» ha declamato citando la famosa poesia di Lermontov che i russi imparano a memoria fin da bambini. Ha ricevuto la benedizione del patriarca Kirill, anche se i fedeli della Chiesa ortodossa appaiono divisi tra il sostegno incondizionato al Cremlino e l’adesione alla protesta di piazza. E come testimonial della sua campagna elettorale ha schierato 499 nomi illustri della cultura, dello spettacolo e dello sport. Putin resta il leader più popolare in Russia, potendo contare sull’appoggio di una massa considerevole di dipendenti pubblici, insegnanti, operai, pensionati che con lui hanno ottenuto sicurezza e stabilità. Tutti i sondaggi prevedono che Vladimir Vladimirovic vincerà domani già al primo turno. I dati forniti dall’istituto più accreditato, il “Centro Levada”, non lasciano dubbi: gli elettori che hanno intenzione di votare per Putin sono il 65%.Tutti gli altri candidati insieme non raggiungono il 30%, Ziuganov è secondo con il 15%, Zhirinovskij e Prokhorov si contendono il terzo posto tra il 6 e l’8%. «Ma se l’astensionismo sarà elevato allora tutte queste cifre vanno riviste al ribasso», ci fa notare Sergeij Dubin, capo del dipartimento sociologico dell’istituto. «La questione non è se Putin vincerà, ma come vincerà», afferma Shkumatov che teme manipolazioni del voto in grado di gonfiare i consensi per il grande leader. «Ma noi vigileremo, migliaia di osservatori volontari presidieranno i seggi». La partita non si chiude domenica sera, il bello (o il peggio) deve ancora venire.

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