martedì 10 maggio 2011
Resta alta la tensione dopo che domenica un gruppo di salafiti ha attaccato alcune chiese nel quartiere di Imbaba: dodici le vittime. Ieri circa 200 fedeli cristiani sono radunati in sit-in di protesta per chiedere le dimissioni di Mohammed Hussein Tantawi, numero uno delle forze armate.
- Nell'Egitto post-Mubarak il rischio dell'uniformità intollerante di Vittorio E. Parsi
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Nuovi scontri fra cristiani e musulmani ed esercito dispiegato nelle strade del Cairo dopo le violenze interconfessionali verificatesi nella notte fra sabato e domenica nella capitale egiziana, quando un gruppo di musulmani salafiti ha assaltato alcune chiese nel quartiere nord-occidentale di Imbaba. La rabbia degli assalitori, circa 500, si è scatenata quando nell’area si è sparsa la voce secondo cui una donna cristiana convertita all’islam sarebbe stata rapita e nascosta nella locale chiesa della Vergine Maria. Almeno dodici le vittime e oltre 230 i feriti durante gli scontri. «Anche una chiesa cattolica è stata attaccata, insieme ad alcune copte ortodosse» ha dichiarato all’agenzia Fides Luciano Verdoscia, missionario comboniano al Cairo. Osservatore attento della realtà egiziana, Verdoscia ha aggiunto: «Un gruppo di salafiti ha fatto irruzione nella chiesa e ucciso il padre di uno dei nostri seminaristi, che è in Uganda». E poi ha spiegato: «La scusa usata per commettere questi crimini è la storia di Kamilia, moglie di un prete ortodosso, che voleva divorziare. Poiché la chiesa ortodossa è molto rigida in materia di divorzio, la donna si è convertita all’islam per sfuggire al proprio marito». Secondo il missionario, al di là del caso specifico, «sono necessarie alcune considerazioni per comprendere che cosa sta accadendo in Egitto: il quartiere di Imbaba è un’area povera e il fanatismo fiorisce là dove regnano povertà e ignoranza. I salafiti non rappresentano la maggioranza, ma sanno farsi ascoltare, anche con la violenza. Secondo alcuni commentatori, sono controllati dal vecchio regime».Così gli uomini di Mubarak intenderebbero destabilizzare il Paese, forse insieme a integralisti affiliati ad al-Qaeda, facendo rimpiangere alla popolazione la dittatura. La comunità copta non intende stare a guardare: da domenica 200 fedeli cristiani sono radunati in sit-in sotto al palazzo della radio-televisione pubblica per chiedere le dimissioni di Mohammed Hussein Tantawi, numero uno dell’esercito egiziano. Ieri intanto i soldati sono intervenuti per proteggerli dall’aggressione di giovani salafiti. Ora le autorità hanno intenzione di processare per direttissima 190 persone arrestate nel fine settimana, oltre a mettere a punto nuove misure per piegare la violenza religiosa. La battaglia esplosa a Imbaba è stata la più grave dal 9 marzo scorso, quando, nell’incendio di una chiesa, morirono 13 persone. Il premier egiziano Essam Sharaf, nel tentativo di dare un segnale forte all’opinione pubblica, ha cancellato la prevista visita ufficiale nel Golfo, mentre la moschea universitaria di al-Azhar ha chiesto la convocazione di una conferenza per la riconciliazione nazionale. Dura anche la condanna della Fratellanza musulmana e del premio Nobel per la pace Mohammed el-Baradei, leader dell’opposizione laica, che ha avvertito come occorra agire tempestivamente contro «l’estremismo religioso e le pratiche correlate», a suo parere degni del Medio Evo. Da Bruxelles, infine, l’Alto rappresentante Ue per la politica estera e di sicurezza comune Catherine Ashton si è detta «seriamente preoccupata» per quanto avvenuto in Egitto. A favore dell’unità fra musulmani e cristiani è stata organizzata per ieri sera una manifestazione con la partecipazione di numerosi esponenti delle principali forze politiche egiziane, come il movimento giovanile 6 aprile e i gruppi pro-El Baradei, oltre a preti e imam.
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