mercoledì 23 maggio 2012
​Folla davanti alle sezioni elettorali per il voto che si tiene oggi e domani. Un poliziotto ucciso davanti a seggio in seguito a uno socntro tra diverse fazioni. 
Il giornalista cattolico Sidhom: i copti sono l'ago della bilancia
Il commento di Martino Diez, direttore della Fondazione Oasis (Radio inBlu)
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Si registrano in Egitto lunghe code ai seggi elettorali per le elezioni presidenziali che si tengono oggi e domani nel Paese. Secondo quanto mostra la tv araba al-Jazeera, decine di persone si sono messe in fila fuori ai seggi del Cairo e delle altre città egiziana anche due ore prima dell'inizio del voto. Le code si sono allungate negli ultimi minuti, quando le sezioni hanno iniziato ad accogliere gli elettori. Si prevede quindi una grossa affluenza alle urne in quello che tutti gli osservatori arabi considerano "un appuntamento storico per il popolo egiziano".Un poliziotto è rimasto ucciso nel corso di un conflitto a fuoco esploso questa mattina davanti a un seggio elettorale. Il fatto si è verificato nel quartiere di Rod al-Farag, al Cairo, dopo una bagarre fra diversi sostenitori di due candidati alla presidenza.OMBRE DEL PASSATO SULLA SCELTA DEL DOPO RAIS di Gilberto Mastromatteo«Preparatevi a una nuova rivoluzione. Specie se i candidati che andranno al ballottaggio saranno due ex del regime di Mubarak». Lo dice con gli occhi socchiusi e un sorriso agrodolce Mohataz Tolba, uno di quelli che la rivoluzione l’hanno iniziata il 25 gennaio del 2011 e l’hanno vinta l’11 febbraio, con la cacciata del rais, per poi vedersela pian piano portar via, dalla recrudescenza della repressione militare e dalla propaganda islamica.Da questa mattina e fino a domani sera i seggi resteranno aperti in tutto l’Egitto per le prime storiche elezioni presidenziali del dopo Mubarak. Eppure, alla vigilia del voto, l’ipotesi di un ballottaggio tra vecchie conoscenze della politica egiziana sembra la più probabile. Così come gli appelli alla calma, per evitare scontri e accettare il risultato, si ripetono. L’ultimo rilevamento settimanale condotto dal centro studi al-Ahram, vede in pole position l’ex segretario generale della Lega Araba, Amr Moussa, con oltre il 40 per cento dei consensi. Mentre al secondo posto ci sarebbe Ahmed Shafiq, l’ex generale dell’esercito ed ex premier indicato da Mubarak proprio nei giorni della rivoluzione. Si attesterebbe poco sotto quota 20 per cento, appaiato all’islamico moderato Abdel Moneim Abul Fotouh, ex fratello musulmano, divenuto oggi oppositore di Libertà e Giustizia, il cui candidato, Mohammed Mursi, non supererebbe, peraltro, il 10 per cento delle intenzioni di voto. Ultimo tra i “big”, ma in forte ripresa, è invece il candidato nasseriano Hamdin Sabahi, dato al 7 per cento dei suffragi. Un bottino raccolto soprattutto tra i giovani, che sono anche la categoria più sfiduciata, con il 15 per cento degli indecisi. «Sono numeri che non rispecchiano affatto quello che sarà l’esito finale delle consultazioni – sostiene Mahmoud Shariff, giovane ingegnere civile, che ha scelto di supportare la candidatura del nasseriano Hamdin Sabahi – la maggior parte degli egiziani resta esclusa dal campione sul quale si basano questi sondaggi. E molti di loro non hanno ancora deciso se recarsi alle urne e chi votare. Prevedo sorprese».Dello stesso avviso è anche Asma Al Manyawy, cui la rivoluzione ha portato via un figlio di 21 anni: «È stato ucciso a novembre, durante gli scontri di Mohammed Mahmoud street – racconta –. Conosco centinaia di persone che non andranno a votare perché sono deluse dalla piega che ha preso questa rivoluzione. Ormai siamo sotto scacco di Hussain Tantawi e del Consiglio supremo delle forze armate. Chi deciderà di votare, lo farà nelle ultime ore». Tutti i giochi, insomma, restano aperti, anche se sembra ormai certo che ci sarà un ballottaggio, il 16 e 17 giugno prossimi. E che uno dei due contendenti sarà Amr Moussa.Lo storico dibattito televisivo andato in scena lo scorso 10 maggio, del resto, ha visto proprio Moussa e Fotouh, come duellanti. Un confronto senza esclusione di colpi tra il politico di lungo corso e il carismatico riformista islamico, che però non pare essere stato gradito agli egiziani. «Il vincitore di quel dibattito è stato Sabahi – dice Mesbah Kotb, giornalista economico del quotidano al-Masry al-Youm – sia perché non era stato invitato, sia perché in tal modo non si è esposto a critiche negative».Per le vie del Cairo regna una calma tesa. I manifesti elettorali tappezzano i muri di piazza Tahrir, andandosi a confondere con i graffiti che ricordano le vittime, giovani, di un anno e mezzo di rivoluzione. I sostenitori dei 12 candidati hanno sfilato a turno per le vie di Downtown e lungo la Corniche del Nilo fino alla mezzanotte di domenica, prima delle 48 ore di silenzio elettorale. Ovunque brulicano poster, spille e adesivi, il consueto merchandising elettorale, accanto a quello ormai più che consueto, della rivoluzione. Eppure non tutto tace. Qualche notizia giunge dal sud, il cosiddetto Alto Egitto. Giovedì scorso ad Assuan se l’è passata male Ahmed Shafiq. Gli oppositori alla sua candidatura lo avrebbero costretto a scendere dal palco centrandolo con delle scarpe. E la situazione resta tesa anche ad Assiut, piazza tra le più calde d’Egitto.Al Cairo è ancora vivido il ricordo dell’ultimo massacro messo in atto dai militari, lo scorso 2 maggio ad Abasseya, il quartiere della capitale dove ha sede il ministero della Difesa. Oltre 30 i morti accertati. Omar al-Bahnassawy si trovava proprio là, assieme ad alcuni suoi amici, che a votare non potranno più andare: «È stato un massacro studiato e portato a termine con una macabra puntualità – racconta –. Gli uomini delle forze speciali centravano i ragazzi all’altezza del volto, come già avevano fatto in Mohammed Mahmoud Street al Cairo, lo scorso anno, o allo stadio di Porto Said a gennaio. Abbiamo avuto la sensazione di essere carne da macello. Ma la democrazia è più forte dello Scaf. Io mi recherò ai seggi anche in nome dei miei coetanei che non ci sono più. E voterò un candidato espresso dal popolo, Sabahi, Hariri o Khaled Ali».L’incertezza sembra il dato più certo alla vigilia di queste attese presidenziali. Ma anche questo è un dato nuovo per l’Egitto, dopo decenni di elezioni fittizie, sotto il marchio dell’astensionismo e del voto plebiscitario a supporto di Hosny Mubarak. La partecipazione al dibattito è forte e tangibile, nelle piazze, agli incontri organizzati dai candidati, durante i match televisivi.L’altra mattina, prima della pausa di riflessione di 48 ore, l’enorme sala per le Conferenze internazionali, voluta da Mubarak alla Medina El Nassr, si è riempita di almeno duemila persone, per un incontro con i candidati minori alla presidenza. Femminile, in massima parte, il pubblico presente in sala. «Vogliamo riprenderci la dignità che ci era stata tolta dal regime di Mubarak – afferma Mona Samir, giovane operaia tessile di Tanta, giunta nella Capitale appositamente per guardare in volto i candidati a diventare presidenti – ora, per lo meno, abbiamo la possibilità di scegliere».
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