mercoledì 12 aprile 2023
Secondo dossier top secret ottenuti dal Washington Post, al-Sisi avrebbe ordinato la produzione di 40mila vettori in un impianto locale. Il Cairo e Mosca negano. E Washington nicchia, ecco perché
Una nave militare russa lancia un missile

Una nave militare russa lancia un missile - REUTERS

COMMENTA E CONDIVIDI

Occorre tanta prudenza nel valutare le carte sul conflitto in Ucraina che emergono dalle stanze segrete del Pentagono e finiscono in pasto ai media. Ogni giorno che passa, la faccenda si complica, accrescendo dubbi e coinvolgendo insospettabili doppiogiochisti.

Parti dei documenti, va detto, sono state manipolate prima della divulgazione: puntano a depistare, disinformare e inquinare le notizie. Vanno prese con le molle. Ma rivelano comunque molto.

Sabato scorso è stato il New York Times a denunciare la fuga di documenti top secret (che riguardavano anche la Cina, l’Indo-Pacifico e il Medio Oriente) finiti online. Adesso è il Washington Post ad accendere i riflettori. Il quotidiano ha potuto accedere ad alcuni file ottenuti tramite Discord, una piattaforma di messaggistica istantanea.

Sono parte di un dossier classificato, datato 17 febbraio. Parla di un asse fra la Russia e l’Egitto. Riferisce di colloqui intercorsi in quel mese fra il presidente al-Sisi e alti funzionari militari egiziani. Il rais del Cairo avrebbe ordinato ai suoi di produrre per Mosca 40mila razzi e spedirli insieme a propellenti chimici per artiglierie.

Un compito che sarebbe spettato verosimilmente alle fabbriche del ministero per la produzione militare e che avrebbe coinvolto la compagnia industriale ingegneristica Abu Zaabal, versata in artiglierie e cannoni, e la galassia Hulwan, che produce fra l’altro mortai, lanciarazzi e metalli per proiettili, granate, bombe e razzi. La fabbrica numero 18 avrebbe avuto invece in carico le polveri piriche.

Furbescamente, Sisi si sarebbe premunito con il ministro Salah al-Din, preposto al dossier. Questi avrebbe dovuto mettere in moto la macchina, senza allertare gli operai: le commesse, era il patto con Sisi, sarebbero state dirette all’esercito egiziano. Al-Din non avrebbe fatto una piega. Avrebbe detto al rais che, «se necessario, le maestranze avrebbero lavorato su turni, perché è il minimo che il nostro Paese possa fare per ripagare la Russia dei suoi aiuti».

Gli invii a Mosca avrebbero dovuto essere occultati, per non compromettere i rapporti con l’Occidente: dagli accordi di Camp David, l’Egitto beneficia infatti di crediti statunitensi annui da 1,3 miliardi di dollari, spendibili in armi americane. Se le indiscrezioni raccolte dal Washington Post sono autentiche, l’Egitto avrebbe tradito gli Stati Uniti.

Il portavoce del Consiglio per la sicurezza nazionale statunitense, John Kirby, mette però le mani avanti. Precisa ai cronisti: «Il piano egiziano non si è mai concretizzato. Non abbiamo prove di armi girate alla Russia». Che cosa ne dobbiamo dedurre?

Che Washington è cauta e che lancia un duplice messaggio agli egiziani, quasi a dire: sappiamo delle vostre macchinazioni ma non vi accusiamo direttamente. Perché? Nessuno negli Stati Uniti desidera che l’Egitto scivoli definitivamente nell’orbita russa. Sono in gioco gli equilibri futuri nel Mediterraneo e in Medioriente.

Intervenuto sulla faccenda, il portavoce del ministero degli Esteri del Cairo, Abu Zeid ha tagliato corto: «La nostra posizione sul conflitto in Ucraina è chiara fin dall’inizio: equidistanza, non coinvolgimento e sostegno alla carta delle Nazioni Unite e al diritto internazionale».

La Russia, tramite il portavoce del Cremlino, ha bollato l’intera faccenda come «una bufala». Forse il Cremlino non vuole mettere in imbarazzo il suo alleato. Da quando al-Sisi troneggia in Egitto, fra Mosca e il Cairo è luna di miele, come ai tempi di Nasser.

La Russia è stato il primo Paese non arabo visitato ufficialmente dall’uomo forte del Cairo. I commerci bilaterali vanno alla grande: fruttano a Mosca 37,5 miliardi di dollari l’anno. C’è tanto in ballo: contratti per armi da 6 miliardi, partnership per la costruzione di una centrale nucleare nella regione di El Dabaa e creazione di una zona industriale russa all’imboccatura del secondo canale di Suez, che garantirebbe supremazia alle aziende del Cremlino nel mercato egiziano e da qui una proiezione globale nello spazio economico subsahariano, nuova frontiera per Mosca.

È una strategia vincente sia per i russi, sia per gli egiziani, tenuto conto che Putin e Sisi si intendono alla perfezione anche sulla Libia. Entrambi vi contengono gli appetiti turchi e puntellano la Cirenaica. Ecco perché Washinton è prudente e coccola ancora gli egiziani, troppo preziosi per essere consegnati integralmente al Cremlino.


© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI