venerdì 29 aprile 2016
COMMENTA E CONDIVIDI
Il referendum è più vicino. Saccheggi durante i blackout: oltre cento arresti Con la mano dove è impresso il volto stilizzato di Hugo Chávez, Yuraima ha firmato il registro per chiedere la destituzione del successore, Nicolás Maduro. Non è stata l’unica ex chavista a mettersi in fila, mercoledì, di fronte agli appositi banchetti situati nelle principali città, nel giorno di inizio delle sottoscrizioni per il referendum di destituzione del presidente. Tante fra le decine e decine di migliaia di persone che hanno accolto l’appello dell’opposizione, in passato, avevano votato per il bolivarismo. Ora, però, sono determinati a cambiare: la cronica mancanza di cibo e medicine, l’inflazione galoppante, la criminalità record hanno ridotto ai minimi termini la popolarità del governo. Questo spiega l’afflusso di sottoscrittori. Tanto che, all’alba di ieri, dopo una notte di conteggi, la Mesa de unidad democrática (Mud) – schieramento di forze antichaviste – garantiva di aver più che triplicato le 197mila firma necessarie. In teoria, avrebbe avuto trenta giorni per racco- glierle. Eppure – affermano fonti della Mud – ne è bastato solo uno per superare almeno il primo scoglio. La strada per un’eventuale rimozione di Maduro è ancora lunga. Il leader dell’opposizione, Henrique Capriles, ha annunciato di voler consegnare le sottoscrizioni al Consiglio nazionale elettorale (Cne) lunedì. Non è solo una questione simbolica. L’esecutivo ha ridotto la settimana lavorativa dei dipendenti pubblici a due giorni per mancanza di elettricità. Anche il Consiglio farà apertura ridotta: ci vorrà il triplo del tempo per procedere alla verifica di ciascuna delle sigle depositate, come prescritto dalla legge. Poi, dovrà convocarli uno ad uno per chiedere di confermare la scelta. Questo sarà il momento più delicato del procedimento. L’opposizione teme che molti – soprattutto fra gli statali – facciano marcia indietro nel timore di rappresaglie. Anche in caso, però, l’esame andasse a buon fine, il percorso prevede un secondo giro di firme, stavolta di 4 milioni, per convocare effettivamente la consultazione. Perché quest’ultima porti alle dimissioni del presidente, i consensi dovranno superare i voti ottenuti da Maduro alle ultime elezioni del 2013: 7,5 milioni. E il tutto deve svolgersi entro quest’anno affinché si celebrino nuove presidenziali. Una revoca a partire dal 1 gennaio 2017 consegnerebbe il potere nelle mani del numero due e attuale vice, Aristóbulo Istúriz. Ma il tempo stringe – nonostante i cambi di fuso decretati dall’esecutivo – anche per un’altra ragione. Il Paese è vicino al “punto di rottura”. Tra Parlamento – guidato dalla Mud – e l’esecutivo è ormai guerra aperta. Il presidente dell’Assemblea, Henry Ramos Allup, ha confermato ieri di non avere i fondi necessari per pagare i pagamenti ai parlamentari. Il governo ha bloccato i soldi – come minacciato a gennaio – poiché i rappresentanti «agiscono in modo incostituzionale» tramando contro il presidente. La tensione sociale è palpabile. Il pacchetto di misure straordinarie per il risparmio energetico – blackout giornalieri di quattro ore, settimana lavorativa ridotta a un terzo, aperture ritardate dei negozi – hanno scatenato la rabbia della popolazione. In sette Stati, nelle ore di “buio”, i supermercati sono stati saccheggiati. Una parola, quest’ultima, bandita dal linguaggio ufficiale ma ripetuta dalle autorità locali. Lo stesso governatore chavista del Zulia, Francisco Arias Cárdenas, ha denunciato 70 assalti tra Maracaibo e Machiques, 103 persone sono state arrestate. «È stata la destra per destabilizzare il Paese», ha detto Cárdenas. Nel Carabobo e nel Miranda, ci sono state forti proteste con strade chiuse e pneumatici incendiati. Maduro ha ribadito che non tollererà violenze. Contenerle, però, diventa ogni giorno più difficile. © RIPRODUZIO NE RISERVATA
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: