domenica 29 novembre 2015
Il Pontefice lo ha ribadito anche nel viaggio in Africa: c'è uno stretto legame tra la povertà crescente e i mutamenti climatici.
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«Sarebbe triste e, oserei dire, perfino catastrofico che gli interessi privati prevalessero sul bene comune e arrivassero a manipolare le informazioni per proteggere i loro progetti». Sono le parole forti, documentate, chiare, di Papa Francesco tre giorni fa a a Nairobi in vista della Cop21, la Conferenza sui mutamenti climatici che si aprirà oggi a Parigi per chiudersi l’11 dicembre. È un vero e proprio pressing quello di papa Bergoglio sull’importantissimo e fondamentale appuntamento. Il 21°, appunto, che prova a mettere nero su bianco azioni concrete e realizzabili per contenere e poi ridurre le emissioni di gas serra e limitare l’aumento della temperatura globale del Pianeta. Un’occasione da prendere molto sul serio, come ha sottolineato proprio papa Francesco nell’intervento dello scorso 25 settembre all’Assemblea generale dell’Onu. «Confido che la Conferenza di Parigi sul cambiamento climatico raggiunga accordi fondamentali e effettivi». Non chiacchiere, dunque, non pur alti discorsi. Il Papa fa capire di conoscere bene i fallimenti o le promesse non realizzate delle precedenti conferenze. Così sempre all’Onu ha avvertito che «non sono sufficienti gli impegni assunti solennemente. Il mondo chiede con forza a tutti i governanti una volontà effettiva, pratica, costante, fatta di passi concreti e di misure immediate, per preservare l’ambiente naturale e vincere quanto prima il fenomeno dell’esclusione sociale ed economica». Parole nelle quali è evidente lo stretto legame tra il tema della povertà crescente e quello dei mutamenti climatici. «L’abuso e la distruzione dell’ambiente – ha aggiunto il Papa nel Palazzo di Vetro –, allo stesso tempo, sono associati a un inarrestabile processo di esclusione». Già poco più di un anno fa, il 20 novembre 2014, intervenendo alla sede di Roma della Fao, proprio a proposito della Conferenza di Parigi aveva parlato di «una sfida: custodire il Pianeta. Ricordo – aveva aggiunto – una frase che ho sentito da un anziano, molti anni fa: Dio perdona sempre, le offese, gli abusi. Gli uomini perdonano a volte. La terra non perdona mai! Custodire la sorella terra, la madre terra, affinché non risponda con la distruzione». Quello di papa Bergoglio è più che un forte richiamo, è quasi una tirata d’orecchie ai governanti, come aveva già fatto nell’Enciclica Laudato si’. «I Vertici mondiali sull’ambiente degli ultimi anni non hanno risposto alle aspettative perché, per mancanza di decisione politica, non hanno raggiunto accordi ambientali globali realmente significativi ed efficaci». A questo sono chiamati i 195 Stati più l’Unione Europea (196, quindi, in tutto), che a Parigi dovranno trovare una nuova intesa vincolante sul taglio delle emissioni dei gas serra per contenere per la fine del secolo l’aumento della temperatura globale entro 2°C rispetto al periodo preindustriale. Oggi siamo già a un +0,8°C e se non si realizzassero azioni concrete nel 2100 si arriverebbe a un +4-5°C, assolutamente disastroso. Un impegno che in realtà i Paesi avrebbero già preso ratificando la Convenzione quadro dell’Onu sui cambiamenti climatici firmata a Rio de Janeiro nel lontanissimo 1992. Ma solo ora, con grande fatica, in vista di Parigi, si è giunti alla presentazione di piani da parte di 146 Paesi. Ma molti sono generici, solo enunciazioni di principi e intenzioni come quelli di nazioni fondamentali come Cina e Russia. Mentre la temperatura non accenna a calare. Un aumento che è impossibile negare così come la concentrazione dei gas serra in atmosfera. «Sull’aumento della CO2 nell’atmosfera non ci sono dubbi – spiega Giorgio di Sarra, responsabile del laboratorio di analisi e osservazione della Terra dell’Enea e tra i revisori del rapporto Ipcc del 2007 che ha portato al Premio Nobel per la pace –. E in questo non c’è nulla di naturale, è solo effetto umano. Siamo passati da 280 parti per milione nel 1750, alla vigilia della rivoluzione industriale, ai 400 di oggi, con una crescita sempre più veloce». Si riuscirà a centrare l’obiettivo a Parigi? «Le precedenti Cop non hanno prodotto risultati molto tangibili – aggiunge Di Sarra – e se le emissioni sono un po’ calate è in gran parte frutto della crisi economica del 2008. Mentre servirebbe un vero accordo che almeno per ora non si vede». Segnali contraddittori arrivano anche dall’Europa. Come riferito dal rapporto SOER, “L’ambiente in Europa-Stato e prospettive 2015” dell’Agenzia Europea dell’Ambiente, presentato due giorni fa, tra il 1990 e il 2012 le emissioni di gas serra nell’Ue28 sono diminuite del 19%, molto oltre l’«almeno 5%» previsto dal Protocollo di Kyoto per lo stesso periodo e già in vista del 20% previsto per il 2020 proprio per i Paesi europei. Ma, avverte il rapporto, «le tendenze nazionali variano in modo significativo negli stati esaminati» (Europa a 33): le emissioni calano in 22 Paesi (tra cui Germania, Regno Unito, Italia, Francia, Finlandia, Danimarca) e aumentano in 11 (tra cui Spagna, Portogallo, Grecia). L’Italia arriva a un meno 16,1%, scendendo per le emissioni di gas serra tra il 1990 e il 2013 da 521 a 437 milioni di tonnellate di C02 equivalente, arrivando a 417 nel 2014 (dati preliminari Ispra). Ma evidentemente non basta se stiamo toccando con mano drammaticamente i mutamenti climatici. Se negli anni ’90 (quindi non secoli fa...) avevamo ogni anno non più di 4-5 eventi meteorologici estremi, quelli che oggi chiamiamo “bombe d’acqua”, con gravi danni e vittime, ne abbiamo invece avuti ben 352 nel 2013 e più di 400 nel 2014. Colpiti 220 comuni, 19 regioni (quasi tutte) con 10mila sfollati, 4 miliardi di danni e 40 moti. Effetto di un grave evoluzione del clima. Secondo i dati dell’Ispra le precipitazioni cumulate annuali del 2014 sono state complessivamente superiori del 13% rispetto alla media climatologica, ma con molte differenze nel Paese. Al Nord il 2014 è stato nettamente più piovoso della norma (+36%), al Centro moderatamente più piovoso (+12%), al Sud moderatamente meno piovoso (-12%). A conferma di un trend negativo il 2014, al Nord si colloca al secondo posto tra gli anni più piovosi dopo il 1960. «Le precipitazioni si stanno spostando verso Nord – spiega il professor Antonio Navarra, presidente del Centro Euro-Mediterraneo Cambiamenti climatici –. Si concentrano in pochi eventi ma con quantità alte, calano d’estate e aumentano d’inverno. È uno degli effetti dei cambiamenti climatici. Così corriamo il rischio di avere al Sud un clima nordafricano tutto l’anno». E se questo avviene in Italia è facile immaginare le conseguenze nei Paesi più poveri del Terzo Mondo, a rischio di diventare ancora più caldi e siccitosi o di subire, come già sta avvenendo, eventi meteorologici sempre più estremi. Con l’effetto di diventare comunque sempre più poveri. Secondo l’Alto Commissariato Onu per i rifugiati già nel 2012 c’erano 30 milioni di “profughi climatici” che nel 2050 potrebbero arrivare a 250 milioni. E questo stretto legame tra mutamenti climatici, aumento della povertà e diritti delle popolazioni  più escluse, spiega bene il pressing di Papa Francesco sulla Cop21. Perché davvero, come ha detto il segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon a proposito della conferenza di Parigi, «non esiste un “Piano B” perché non esiste un “Pianeta B”».
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