lunedì 5 agosto 2013
​L'Uruguay legalizza l'uso della marijuana “di Stato”. Ma dal Messico al Cile, molti pensano a questa scorciatoia.
A Cracolandia, l'ultima “periferia” di Rio
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Rodrigo ha 8 anni, vive insieme a un gruppo di coetanei ai margini dell’autostrada, non lontano dalla cattedrale di Lima: non mangiano quasi nulla, respirano tutto il giorno "colla" dai loro sacchetti di plastica. Mario è un professionista di Buenos Aires: sniffa cocaina da anni, ma dopo la crisi del 2002 è passato al "paco", un tempo «la droga dei poveri», oggi anche della classe media. In un villaggio dell’Amazzonia brasiliana, invece, João fuma "oxi", che gli brucia la mente. Nomi inventati, storie reali e quotidiane.La Colombia e il Perù sono i primi produttori di cocaina del pianeta. Il Messico annaspa, immerso in una guerra ai (e fra) narcos che ha fatto più di 70mila vittime in sei anni. L’America Latina, conosciuta come il continente di fabbricazione ed esportazione di droga, ormai è anche un enorme mercato di tossicodipendenza. «Non è la liberalizzazione del consumo di droga, come si sta discutendo in varie parti dell’America Latina, ciò che potrà ridurre il propagarsi e l’influenza della dipendenza chimica» ha detto Papa Francesco visitando l’ospedale São Francisco de Assis na Providência de Deus di Rio de Janeiro. Il problema va combattuto «promuovendo una maggiore giustizia, educando i giovani» e «accompagnando i bisognosi».Una settimana dopo quelle parole, il Parlamento dell’Uruguay ha approvato un progetto di legge inedito a livello mondiale: legalizzazione del consumo della marijuana, gestione statale della produzione e della vendita. Basterà andare in farmacia. Droga “leggera”, è vero, ma comunque droga di Stato. La norma, che ora passa all’esame del Senato, è sostenuta con forza dal presidente uruguayano: alla guida di una coalizione di sinistra, José Mujica è convinto che così si combatterà il traffico di stupefacenti. «Quello che mi fa paura è il narcotraffico, non la droga», dice l’anziano ex guerrigliero: la legge dovrebbe allontanare i consumatori dagli spacciatori e ridurre il business dei narcos. Ma la misura non è piaciuta alle Nazioni Unite, che invitano l’Uruguay a ripensarci: oltre alla violazione dei trattati internazionali, avverte l’Ufficio Onu per la lotta contro la droga e il crimine, bisogna considerare le possibili «gravi conseguenze per la salute» dei giovani, dato che la cannabis non è «una droga tanto innocente come qualcuno vorrebbe far credere».Il dibattito è in corso da tempo nella regione, ma a maggio scorso l’Osa (l’Organizzazione degli Stati americani) ha rotto gli argini, pubblicando un rapporto in cui si prendono in considerazione la depenalizzazione e la legalizzazione della marijuana come strumenti nella «guerra contro le droghe». L’Uruguay non è il solo interessato: sinistra e destra latinoamericana sembrano disposte ad ascoltare questa "nuova" (ma in realtà vecchia) proposta. L’idea attrae anche il Guatemala, il Costa Rica e qualcuno in Messico, mentre un gruppo di ex presidenti latinoamericani – dal brasiliano Henrique Cardoso al messicano Ernesto Zedillo – la sostengono in contrapposizione al «fallimento» della lotta contro il traffico di droga portata avanti da decenni in America Latina, con il contributo militare e finanziario degli Stati Uniti. Gli Usa sono il mercato principale della cocaina prodotta nel continente. Ma anche l’Europa è una piazza bollente. E i latinoamericani lamentano spesso la mancanza di coordinamento e cooperazione. Il richiamo di Papa Francesco viene da lontano: da quando l’arcivescovo di Buenos Aires, Jorge Mario Bergoglio, ricordava ai giovani che «i loro padroni non sono la marijuana, il paco o la birra, ma è Cristo il loro Signore». Era il 2009. E il futuro Pontefice puntava già sull’assistenza, la scuola, il lavoro nelle villas della capitale, per combattere il "paco" a fianco di un gruppo di giovani sacerdoti. Le preoccupazioni di Francesco sono condivise da numerosi esperti, contrari alla depenalizzazione: «Aprire la discussione può fare aumentare il consumo perché diminuisce la percezione dei rischi» avverte Rafael Camacho Solis, dell’Istituto per la prevenzione di Città del Messico. L’Uruguay ha rotto il fronte: chi vorrà seguirlo?
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