giovedì 23 agosto 2012
​Il caso della 13enne accusata di blasfemia, e adesso in attesa di giudizio, ha fatto precipitare di nuovo la minoranza in un clima di terrore. Identificati 25 estremisti colpevoli di atti di vandalismo. La comunità cristiana: «Ora abbiamo paura». Denunciati 150 violenti.
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È una comunità sotto assedio quella in cui, fino al 16 agosto, viveva la piccola Rimsha, la 13enne accusata di blasfemia in attesa di essere convocata davanti ai giudici. La polizia di Islamabad, la capitale del Pakistan dove si trova il quartiere-ghetto di Mehrabad abitato anche da centinaia di famiglie cristiane, ha sporto denuncia contro 150 persone per protesta violenta e istigazione alla violenza. Gente che, ha confermato il portavoce della polizia Naeem Khan, «ha bloccato le strade, bruciato pneumatici e lanciato pietre» dopo che si era diffusa la notizia che la ragazzina aveva bruciato pagine di un libro utilizzato per l’introduzione allo studio del Corano. Sono 25 gli estremistii identificati con certezza come autori di atti di vandalismo, anche con danneggiamento di auto e di beni privati. Mentre da fonti dei cristiani locali arriva notizia di tentativi di saccheggio ai danni delle abitazioni ora vuote degli abitanti a Mehrabad, la situazione sulle strade – come testimoniato anche dall’agenzia Ansa – sarebbe tornata tranquilla. «Se ne sono andati via tutti precipitosamente per timore di rappresaglie – conferma Abdul Ghafoor, un musulmano di 28 anni, che abita nella zona –. Ma non li abbiamo minacciati. Se no, vi sarebbero state persone maltrattate o case bruciate, ma nulla di ciò è accaduto. Ne sono certo, ritorneranno presto».Camminando per le viuzze del villaggio, fra le porte sprangate, effettivamente non si incontra nessuno che si professi cristiano. L’unico disposto a parlare è un giovane che vive due chilometri più in là. Con la promessa dell’anonimato, conferma la convinzione dell’innocenza di Rimsha: «Non ha commesso nessun atto di blasfemia, ma noi cristiani in Pakistan siamo trattati così».Le forze di sicurezza, nell’occasione, hanno avuto un ruolo più concreto che in altri simili episodi, impedendo che la bambina venisse linciata nel posto di polizia dov’era stata portata dopo che era stata denunciata, e anche nella protezione della comunità cristiana, che ha deciso di lasciare momentaneamente la zona per il timore di rappresaglie. Intanto i responsabili delle due comunità stanno cercando di aprire un dialogo che normalizzai la situazione e salvi Rimsha: si attende un rapporto della polizia sollecitato anche dal Consigliere del primo ministro per l’Armonia nazionale Paul Bhatti sulla salute della ragazzina.Intanto, a chiedere con urgenza la riforma della «legge antiblasfemia» garanzie per la sicurezza della giovane cristiana, è intervenuto anche Amnesty International. Ieri Polly Truscot, responsabile per l’Asia meridionale dell’organizzazione, ha sostenuto che il caso «dimostra l’erosione del valore delle leggi ed i pericoli che corrono quanti sono accusati di blasfemia in Pakistan», sottolineando che «nel recente passato persone accusate di blasfemia sono state uccise dalla gente». Il continuo rinvio di una promessa riforma della Legge, ha concluso, «può essere interpretato come l’autorizzazione a chiunque di commettere abusi oltraggiosi e a giustificarli come una difesa dei sentimenti religiosi».
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