domenica 27 marzo 2016
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PARIGI Itest atomici condotti per 30 anni negli atolli polinesiani di Mururoa e Fangataufa, fra il 1966 e il 1996, rappresentano uno dei capitoli più foschi della recente storia francese. Parigi, così fiera nei mesi scorsi di aver accolto la Conferenza Onu sul clima che ha sbloccato i negoziati per la lotta contro il cambiamento climatico, non ama di certo ricordare i “costi” pagati agli antipodi per la politica di potenza militare che ha condotto all’attuale arsenale nucleare transalpino. Quei costi continuano a tradursi ogni anno in centinaia di vite devastate da tumori, malformazioni e altre conseguenze dell’esposizione di diverse generazioni alle radiazioni. Ma fra gli effetti imprevisti, la Francia si è a lungo limitata a riconoscere solo certe dispersioni fuori controllo di nubi radioattive condizionate talora da cicloni ed altre perturbazioni oceaniche. Fra le voci più ascoltate che sostengono oggi le popolazioni colpite, figurano pure quelle di 9 preti cattolici aderenti all’associazione “193” (dal numero dei test nucleari), presieduta dal 2014 proprio da uno di loro, padre Auguste Uebe-Carlson, responsabile della Parrocchia del Cristo Re, a Tahiti. A chi cerca spesso di rimproverargli che non conviene troppo mescolare responsabilità pastorali e impegni civili, padre Auguste ricorda sempre che guida esplicitamente «un’associazione apolitica e fondata su valori cristiani». Cresciuto nell’arcipelago delle Gambier, a soli 500 chilometri da Mururoa, e grande appassionato della propria terra, padre Auguste continua a infondere coraggio alle vittime e ad invocare giustizia al cospetto della Francia. Questa ha impiegato decenni per ammettere che gli esperimenti atomici hanno avuto un “impatto” sulla salute delle popolazioni e sull’ambiente. Al quotidiano La Croix, il sacerdote ha appena rivelato un retroscena dell’ultima visita del presidente socialista François Hollande a Tahiti, il mese scorso. Uno squillo seguito dalla voce dell’Alto commissario della Repubblica in Polinesia, principale rappresentante di Parigi sull’arcipelago: «Mi ha chiamato recentemente per chiedermi di non trovarmi in Polinesia all’arrivo di François Hollande. Quel giorno, l’associazione aveva previsto di manifestare». Il sacerdote non si stanca di ricordare che circa 8mila persone hanno diritto agli indennizzi, secondo i risultati degli stessi uffici sociali pubblici polinesiani. Ma una volta istruiti, i fascicoli non avanzano. Solo in una ventina di casi, i richiedenti hanno già ottenuto risarcimenti. Per gli altri, giorno dopo giorno, si rafforza la sensazione di essere stati dimenticati. Come se la République, 20 anni dopo la fine degli esperimenti, continuasse a voler temporeggiare per allontanare sempre più gli spettri di quel capitolo ben poco glorioso. «Non c’è tempo da perdere », ha ripetuto in coro lo scorso dicembre tutta la delegazione francese impegnata alla Conferenza dell’Onu per «salvare il Pianeta». Ma all’altro capo australe del globo, in ciò che resta delle pieghe amministrative più lontane del vecchio mantello imperiale francese, le speranze di riscatto dei “contaminati” rischiano ancora d’insabbiarsi. Secondo Bruno Barrillot, già alla guida di una commissione d’inchiesta indipendente voluta dalle autorità polinesiane, ogni anno, in media a circa 540 persone viene diagnosticato un tumore, spesso di un tipo molto raro. «Un dramma», riassume padre Auguste, noto a Tahiti anche per la contagiosa vitalità trasmessa pure nelle circostanze più informali. Appassionato di rugby e pesca, ha dedicato la propria giovinezza anche alle immersioni nei fondali polinesiani, contemplando lo spettacolo di lagune a cui manca solo un pizzico di giustizia, ama ripetere, per assomigliare ancor più a «un paradiso terrestre». © RIPRODUZIONE RISERVATA Gli «invisibili» Il prete presiede l’associazione «193» che si batte per i diritti degli ottomila contaminati dagli esperimenti, condotti sull’atollo polinesiano tra il 1966 e il 1996 Soltanto una ventina dei richiedenti finora ha avuto gli indennizzi previsti IL LAMPO Un’esplosione del 1971 nell’atollo di Mururoa nella Polinesia francese: gli esperimenti sono stati sospesi, soltanto nel 1996 dopo 30 anni Sopra, padre Auguste Uebe-Carlson (Ap)
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