venerdì 30 agosto 2013
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Ancora 24 ore e poi via da Da­masco. Gli ispettori dell’Onu dovrebbero ripartire domani mattina dopo la conclusione, oggi, del­l’ultima giornata di lavoro. Continua quindi il prelievo di campioni nel Ghu­ta, periferia orientale della capitale, nei luoghi colpiti dal presunto attacco chi­mico del 21 agosto scorso. Analisi e prelievi (di sangue e capelli dei superstiti) che il regime sta aiutando a compiere nella speranza che non por­tino a nessun risultato schiacciante; co­sa probabile, visto il ritardo con cui so­no stati effettuati.
Si tenta ancora di­speratamente la via diplomatica, quin­di, ma l’attacco potrebbe avvenire in qualsiasi momento già dopo l’evacua­zione degli osservatori delle Nazioni U­nite. Anche se servirebbero almeno «quattro giorni per elaborare dei risultati atten­dibili dei campioni prelevati», ha di­chiarato ieri Ban Ki-moon nel tentati­vo, evidente, di prendere tempo e cal­mare le acque almeno finché il team dei 20 si trova in territorio siriano. Un’a­pertura non condivisa però dal presi­dente della Coalizione dell’opposizio­ne siriana Ahmad Jarbe che, in Francia per incontrare il ministro degli Esteri Fabius, ha detto: «L’Occidente deve col­pire il regime di Bashar al-Assad e por­tarlo davanti alla Corte penale interna­zionale ». Minacce immediatamente rimbalzate. «La Siria uscirà vittoriosa e più forte dal­lo “scontro storico” in atto con gli Stati Uniti e i suoi alleati occidentali, ha pro­messo il presidente siriano Bashar al-Assad, in un’intervista al quotidiano li­banese filo-Hezbollah, Al-Akhbar . Pa­role evidentemente volte a scaldare gli animi dei suoi fedeli alleati: le milizie sciite libanesi di Nasrallah, presenti in gran numero nel Paese confinante.
Ma ben oltre la propaganda, il nervo­sismo a Damasco è palpabile, come di­mostrano i febbrili spostamenti di sol­dati e civili nelle zone dove si trovano note basi militari e in cui vivono molti alauiti (minoranza religiosa della fami­glia Assad). Uomini con valigie e mac­chine cariche di donne e bambini si so­no visti abbandonare i quartieri sensi­bili di Mazzeh 86, non lontano dal cen­tro della città dove fu istituita una co­lonia di militari alauiti negli anni Set­tanta, così come a Esh el-Warwar. Gruppi delle milizie irregolari del regi­me (shabbiaha), invece, avrebbero ab­bandonato la zona povera di Kadam, «portandosi via anche i mobili», come affermano testimoni locali.
Chi fugge si ripara nei quartieri ribelli, nella cam­pagna di Damasco o in Libano, dove nella sola giornata di ieri sarebbero pas­sate più 5.000 macchine siriane di gros­sa cilindrata (come riportato sul sito di al-Arabya). Gli alti ufficiali mettono in sicurezza le proprie famiglie e poi tornano indie­tro, in un viaggio (Damasco-Beirut) an­cora praticabile in auto su un’autostra­da sicura lunga poco più di 100 chilo­metri. Il problema però è per chi resta: «Nelle zone appena fuori Damasco c’è carenza di medicine, cibo e acqua – ha denunciato Magne Barth capo della de­legazione la Croce Rossa internaziona­le in Siria –. L’escalation in corso – ha infine ammonito – non farà altro che peggiorare la condizione dei civili».
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