martedì 10 maggio 2016
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Subito 100 soldati italiani in Iraq. A ottobre saranno 450. Lo ha detto ieri il ministro della Difesa Roberta Pinotti in un’intervista a un quotidiano: «La lotta al terrorismo ha bisogno dell’impegno di tutti – ha spiegato –. A chi ci ha criticato sostenendo che usiamo i nostri soldati per difendere un’azienda italiana rispondo che la richiesta di un contributo maggiore in Iraq ci è venuta dagli americani». «Ci sono state date varie opzioni, tra le quali quella di Mosul, e noi abbiamo scelto questa – ha precisato il ministro Non solo perché c’è l’impegno un’impresa italiana – la Trevi di Cesena –, cosa della quale siamo contenti, ma anche perché i lavori alla diga metteranno in sicurezza l’Iraq dal rischio di una catastrofica alluvione. E poi serve a sostenere lo sviluppo del Paese. Perché l’intervento militare non deve essere fine a se stesso, deve servire a stabilizzare l’Iraq». Che la situazione sul posto sia assai delicata lo dimostra anche l’assoluto riserbo dietro cui si trincerano i vertici aziendali nel quartier generale della Trevi, dove si è abituati all’essere e al fare più che all’apparire. «Stiamo realizzando il campo che ospiterà i tecnici e operai – fanno sapere –. I lavori della diga avranno inizio ai primi di settembre». Non una parola di più, tenuto conto degli uomini già impegnati sul terreno e di quelli che seguiranno nelle prossime settimane e nei prossimi mesi, fino a raggiungere i 450 addetti previsti già da tempo per un intervento delicato e complicato al tempo stesso. Alcuni media americani facevano notare ieri come negli States si ritenga che «le guerre in Siria e in Iraq stiano entrando in una nuova fase, caratterizzata da maggiore violenza e da una più consistente presenza di truppe americane ». Lo ha scritto il Washington Post secondo il quale «sono già pronti i piani per aumentare considerevolmente la presenza americana in loco: altri 450 uomini delle forze speciali schierati in Siria e in Iraq, centinaia di marines schierati sulla linea del fronte in Iraq, in campo anche elicotteri d’attacco Apache e bombardieri B52s». Ecco i motivi della presenza del contingente italiano, a presidio di un’azienda italiana impegnata in un primo pacchetto di interventi di emergenza che avrà la durata di 18 mesi. Ma i rischi non riguardano solo il piano militare – la presenza del Daesh, gli attacchi e i contrattacchi governativi delle ultime settimane (come quello di cui si è avuto notizia ieri e che ha visto la ripresa del controllo di cinque aree della città di Fallujah, come dichiarato dal generale Ismail Mahlawi). I rischi sono connessi anche allo stato della diga sulla quale dovranno intervenire i tecnici della Trevi. «E sono rischi aggravati – spiegava la società nei giorni dell’annuncio dell’aggiudicazione dell’appalto – dalla mancata manutenzione della diga negli ultimi anni che rendono un intervento per la sua messa in sicurezza è quanto mai necessario». «L’impianto, situato a 35 chilometri a nord di Mosul – spiegano dalla Trevi – è seriamente danneggiato. Il pericolo di un cedimento potrebbe avere delle conseguenze gravi mettendo a rischio le province di Ninive, Kirkuk e Salahuddin, causando danni nella pianura dell’Eufrate fino a Baghdad, 350 chilometri a sud». La guerra e il terrorismo producono danni diretti e indiretti. Per avere la meglio, come dice il ministro della Difesa, «occorre l’impegno di tutti». Italia compresa. «Eravamo pronti da fine aprile – ha detto ancora il ministro della Difesa –. Alcuni team avanzati sono già sul posto per fare ricognizione e da fine maggio la task force inizierà a dispiegarsi a protezione dei lavori di messa in sicurezza della diga di Mosul, sul Tigri. Inizialmente saranno cento uomini, poi, mano a mano che aumenteranno le esigenze di protezione del cantiere, saliremo, tra settembre e ottobre, a 450 soldati: la Trevi ci ha comunicato che i lavori dureranno dai 12 ai 18 mesi e inizieranno il primo settembre. Noi siamo pronti a restare fino a due anni, fino a che la diga sarà stata messa in sicurezza». © RIPRODUZIONE RISERVATA A RISCHIO La diga di Mosul, sul Tigri, è seriamente danneggiata. Un cedimento dell’impianto, che da due anni non subisce interventi di manutenzione, potrebbe avere conseguenze nelle province di Ninive, Kirkuk e Salahuddin, fino a Baghdad (Ansa)
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