sabato 11 gennaio 2014
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Di nazisti immaginari lo scrittore Eraldo Affinati ha una certa esperienza. «C’era un mio allievo, che si dichiarava naziskin – racconta –. Gli ho consigliato di leggere Il treno era in orario di Heinrich Böll, il romanzo anti-hitleriano per eccellenza. Il ragazzo mi ha dato retta, si è entusiasmato, ne ha parlato con gli amici. Segno che le sue convinzioni non erano poi così profonde, no?». Insegnante di lettere in un Istituto professionale romano, Affinati si è trovato a commentare dalla cattedra anche la notizia della morte di Erich Priebke: «All’inizio la classe era disinteressata, di via Rasella e delle Fosse Ardeatine sapevano poco e niente. Ma quando hanno scoperto che quell’uomo era stato recluso nel loro quartiere, a Forte Boccea, l’atteggiamento è cambiato. Si sono resi conto che la storia del Novecento non era qualcosa di lontano. Al contrario, si intrecciava con le loro stesse vite, proprio come accade fra vicini di casa». La lotta al pregiudizi si gioca sul piano educativo, dunque. Ma va giocata con schiettezza. «La prima regola consiste nel non aver paura a ripartire sempre da capo – spiega Affinati –. Mai dare nulla per scontato e, più che altro, mai prendere la scorciatoia della retorica, che suscita subito nei ragazzi l’istinto allo sberleffo. E qui interviene la seconda regola, che consiste nell’evitare di allarmarsi davanti alle provocazioni. Anche quando sembra affiorare una certa consapevolezza (penso, per esempio, ai cori razzisti negli stadi), a prevalere negli adolescenti è sempre la volontà di affermarsi, con le buone o con le cattive. Gli adulti devono rafforzare l’attitudine all’ascolto, sapendo che, anche nel momento in cui rivolgono la loro rabbia contro altri bersagli, in effetti i ragazzi se la stanno prendendo con il mondo dei grandi, da cui non si sentono accolti e compresi. Ogni anno, in classe, arriva qualcuno con la croce celtica disegnata sullo zainetto. E ogni anno di più mi appare chiaro che quello e altri simboli, svastica compresa, sono adoperati come una specie di tatuaggio, un graffito di cui si ignora il significato ma che comunque dovrebbe fare colpo sul professore. È una ricerca di identità che chiede di essere guidata. Scandalizzarsi non serve a niente, il dialogo è tutto. È la terza regola, la più importante».​
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