mercoledì 3 maggio 2017
La Commissione "Giustizia e pace" chiede che le autorità dello Stato ebraico «aprano una nuova porta alla costruzione della pace»
I soldati israeliani arrestano un ragazzo palestinese a Betlemme durante le manifestazioni in sostegno alla protesta dei detenuti (Ansa)

I soldati israeliani arrestano un ragazzo palestinese a Betlemme durante le manifestazioni in sostegno alla protesta dei detenuti (Ansa)

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«Invocano il rispetto dei loro diritti e della loro dignità»

«Invitiamo le autorità israeliane a sentire il grido dei prigionieri, a rispettare la loro dignità umana e ad aprire una nuova porta verso la costruzione della pace». È l’appello lanciato al governo dello Stato ebraico dalla Commissione “Giustizia e pace” - che opera in seno all’Assemblea degli Ordinari cattolici di Terra Santa - in merito allo sciopero della fame intrapreso dal 17 aprile scorso (nella "Giornata per il detenuto palestinese"), da oltre 1.500 prigionieri palestinesi.

Nell’appello - pervenuto al “Sir” - la Commissione “Giustizia e pace” spiega che «l’obiettivo di questo atto disperato è quello di far luce, sia a livello locale che internazionale, sulle condizioni disumane in cui sono trattenuti dalle Autorità israeliane». I detenuti «invocano il rispetto dei loro diritti umani e della loro dignità, come riconosciuto dal diritto internazionale e dalla Convenzione di Ginevra, e la fine della detenzione amministrativa». La Commissione, nel comunicato, «afferma la necessità dell'applicazione del diritto internazionale nei confronti dei prigionieri politici. Condanna l'uso della detenzione senza processo, tutte le forme di punizione collettiva, nonché l'uso della forza e della tortura per qualsiasi motivo». Inoltre - si legge nel testo - «non dobbiamo mai dimenticare che ogni prigioniero è un essere umano e la sua dignità, data da Dio, deve essere rispettata».

«L'inizio di una nuova storia, per entrambi i popoli, israeliani e palestinesi»

«La liberazione dei prigionieri - conclude la Commissione - sarà un segno di una nuova visione, e l'inizio di una nuova storia, per entrambi i popoli, israeliani e palestinesi. Come cristiani siamo inviati a lavorare per la liberazione di ogni essere umano e per la creazione di una società umana in cui ci sia uguaglianza per tutti, israeliani e palestinesi».

Le richieste dei detenuti

I prigionieri chiedono migliori condizioni di detenzione. Soprattutto per quanto riguarda le comunicazioni e gli incontri con i famigliari. Il regolamento carcerario israeliano prevede le visite come diritto riconosciuto, provvedendo anche a una regolare calendarizzazione, ma spesso i parenti, che vivono in Cisgiordania o a Gaza, non riescono a ottenere i permessi speciali per entrare in territorio israeliano e recarsi nelle carceri. I prigionieri chiedono anche l’istallazione di telefoni pubblici nei blocchi detentivi, l’accesso a cure mediche negli ospedali (e non solo nelle cliniche di servizio presenti negli istituti) e la fine delle detenzioni senza processo. In tutto, sarebbero tra i 6.500 e i 7.000 i detenuti palestinesi nelle careceri israeliane. Fra di loro ci sarebbero una sessantina di donne e 300 minori. Molti stanno scontando condanne per reati di diverso tipo, ma tanti sono in regime di “detenzione amministrativa”: vengono cioè considerati sospetti e trattenuti senza accusa e senza processo per sei mesi.

Marwan Barghouti, il leader della protesta

La protesta dei detenuti è stata lanciata da Marwan Barghouti, dirigente di al-Fatah (il partito del presidente Abu Mazen) accusato dalle autorità israeliane essere un terrorista, responsabile di vari attacchi durante la Seconda Intifada. Venne arrestato a Ramallah nel 2002, e, dopo un processo, venne condannato a cinque ergastoli. Lo sciopero della fame è partito proprio dal carcere di Hadarim, dove è detenuto Barghouti (che dopo l'avvio dell'iniziativa è stato sottoposto al regime di isolamento).

Le ferite palestinesi

Allo sciopero della fame hanno poi aderito le altre formazioni politiche palestinesi. Anche Hamas ha organizzato manifestazioni di supporto a Gaza. Il 28 aprile è stato indetto in tutta la Cisgiordania un "Giorno della rabbia" in solidarietà con lo sciopero della fame dei detenuti. Le più importanti città palestinesi hanno partecipato. Ci sono stati scontri (anche pesanti) con i militari israeliani. Ma, soprattutto, ancora una volta, sono emerse le divisioni tra le varie formazioni palestinesi. Ferite che indeboliscono anche una lotta di civiltà. E rendono più faticoso il cammino di pace.

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