domenica 25 ottobre 2015
Bimbi arsi vivi e stupri: il Paese riscopre l'orrore. L'ultimo terribile episodio in un sobborgo di Delhi.
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Le vittime avevano due anni e nove mesi, sono stati arsi vivi all’alba del 20 ottobre a Faridabad, sobborgo di Delhi, da membri di una casta superiore che hanno incendiato la casa dove vivevano con i genitori che si sono salvati per un soffio. Dopo le proteste degli abitanti, in maggioranza dalit (“oppressi”), la polizia ha arrestato tre sospetti e segnalato che potrebbe trattarsi di vendetta, frutto di una vecchia faida. Una lettura “opportunista”, che molti nella società civile indiana hanno condannato. La Chiesa indiana non poteva non intervenire. «L’uccisione di due bambini dalit è stata un atto esecrabile », ha segnalato all’Agenzia Fides padre Devasagaya Raj, segretario dell’Ufficio della Conferenza episcopale indiana per dalit e fuoricasta. Un’affermazione che evidenzia un altro aspetto, più prettamente indiano, della violenza diffusa, quello della superiorità per nascita. «I dalit vengono colpiti e uccisi proprio perché indifesi e spesso questi omicidi restano impuniti», ha osservato padre Raj.Un’“arma letale” quella delle caste, che autorizza infiniti abusi e giustifica violenze terrificanti. Secondo l’Ufficio nazionale indiano per la registrazione dei crimini, ogni giorno in India due donne dalit sono stuprate, due dalit sono assassinati e due case di dalit vengono date alle fiamme. Dati ufficiali, successivi a denunce che sono cosa rara nell’immensa campagna indiana o nelle metropoli sovraffollate e distratte dove si accumula una massa di popolazione di molte origini e poche radici. Tuttavia, nel comune denominatore della violenza sessuale, nelle campagne si evidenzia la volontà di dominio castale, nelle città la mentalità patriarcale, senza ignorare che l’anonimato garantito dalla città spinge a una rivalsa sessuale verso donne di gruppi più favoriti.L’opinione pubblica indiana sembra avere preso coscienza dell’entità di certi fenomeni dopo la violenza di gruppo su un autobus della capitale New Delhi contro una giovane infermiera il 16 dicembre 2012. L’emozione suscitata da quel fatto ha avviato campagne di sensibilizzazione, proteste di piazza e la messa sotto accusa delle forze di sicurezza. Il 23 ottobre, un autista di taxi del servizio di chiamata Uber, già incarcerato per violenza sessuale nel 2011, è stato condannato a per lo stupro di una cliente, una professionista, avvenuta nella capitale il 5 dicembre 2014. Casi diversi ma di ampio risalto mediatico, emersi da una casistica che proprio la maggiore attenzione rende più vasta. La povertà e non solo fattori culturali incitano gli uomini indiani alla violenza. A segnalarlo un rapporto congiunto di Fondo delle Nazioni Unite per la popolazione e il Centro internazionale per la ricerca sulle donne, con sede a Washington. Secondo i dati ufficiali, sono stati 25.000 i casi di violenza sessuale in India nel 2012. Una statistica in sé poco significativa, data la popolazione del paese (1,3 miliardi stimati), ma che non include eventuali abusi in ambito matrimoniale, non perseguiti come reati di violenza sessuale. Sei maschi su dieci hanno atteggiamenti violenti verso mogli, fidanzate e compagne. Il 52% delle donne hanno sperimentato nella vita una qualche forma di violenza fisica, mentale e sessuale, un terzo minorenni. «La mancanza di servizi igienici è alla base di violenze sessuali nei villaggi», ha ricordato Bindeshwar Pathak, leader di Sulabh International, organizzazione ha garantito latrine efficienti a decine di milioni di poveri, dopo il caso di Latra Sadatganj, dove un anno fa due sorelle sono state stuprate prima di essere impiccate a un albero proprio mentre erano alla ricerca di un luogo appartato. Il fenomeno che i dalit stessi definiscono «frutti speciali», giovani donne violentate e poi impiccate a alberi per simularne un suicidio o, spesso, come monito alla volontà di emancipazione o giustizia, è emerso con drammaticità negli ultimi tempi, parte di una casistica che ha un comune denominatore nelle caste. Vittime i dalit, 200 milioni di individui che in maggioranza vivono un’apartheid indiana imposta anche con la violenza. Uno studio della Campagna nazionale per i diritti umani dei dalit indica che il 67 per cento per le donne fuoricasta e tribali subisce una qualche forma di abuso sessuale. Evidenziando così una cultura dello stupro e del dominio che è anche una cultura dell’impunità, come sottolineato in un recente rapporto dalla signora Rashida Manjoo, inviato speciale Onu per la Violenza contro le donne. Una cultura «fortemente radicata nell’attitudine patriarcale della polizia, di pubblici ministeri, dei giudici», che sovente dissuadono le donne dalla denuncia o non l’accolgono.
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