sabato 22 agosto 2015
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Iterroristi non leggono, e quando leggono non rispettano i dettami indicati. Il frontale della porta del monastero distrutto dai jihadisti reca un’iscrizione in arabo risalente al 1473 che contiene un ordine impartito da un emiro locale ai beduini del deserto di non arrecare alcun danno al monastero né ai suoi residenti. Costruito nel V secolo, Deir Mar Elian era dedicato alla figura di un monaco di Edessa (attuale città turca di Urfa) vissuto nel quarto secolo e citato da Teodoreto di Cirro tra i Padri della Chiesa.  All’interno del monastero, infatti, è conservato un sarcofago di marmo recante un’iscrizione in siriaco e contenente le spoglie del santo. Per distinguerlo da un santo omonimo e martire romano del terzo secolo molto venerato nella Siria settentrionale, la gente locale lo chiamava Mar Elian al-Sheikh, ossia l’anziano o lo sceicco. Un titolo, questo, che ha contribuito alla promozione della vocazione del monastero al dialogo con l’islam. Specie dopo il 2000, quando la struttura religiosa è stata affidata alla comunità al-Khalil (attributo dato al patriarca Abramo, «amico intimo» di Dio) fondata da padre Paolo Dall’Oglio nel solco della tradizione siriaca a partire dal monastero di Mar Musa al-Habashi (san Mosè l’Abissino), situato a una cinquantina di chilometri. Qui, come a Mar Musa, la giornata era compresa tra la preghiera del primo mattino e la Messa serale preceduta da un’ora di meditazione, prima della cena.  Il luogo è diventato famoso per il restauro di una porta di legno alta 177 centimetri, risalente al settimo secolo e decorata con fiori e animali, che è attualmente conservata nel Museo di Damasco. Il rinnovo di Mar Elian è stato affidato a padre Jacques Murad, rapito il 21 maggio scorso da un gruppo di uomini armati e a volto coperto che erano entrati nel suo monastero. Nel luogo sacro facevano periodicamente sosta dei pellegrini o volontari per aiutare padre Jacques e i suoi collaboratori locali nel lavoro della terra e la cura degli uliveti, vigneti e altri alberi da frutta piantati attorno a questa oasi di accoglienza e semplicità. Il priore meditava anche la costruzione di un frantoio, per sostenere non solo i membri della sua piccola comunità parrocchiale (362 sirocattolici su 30mila abitanti), ma anche l’intera popolazione. Al-Qaryatain, dove è situato il monastero, aveva accolto nell’inverno del 2013-2014 tremila profughi musulmani fuggiti dalle zone circostanti, gran parte dei quali ha trovato rifugio all’interno del monastero. Molti musulmani, inoltre, venivano a pregare davanti alla tomba del santo oppure partecipavano, ogni 9 settembre, alle celebrazioni in onore di Mar Elian.  Pratiche, queste, ritenute «politeiste » dai jihadisti del sedicente Califfato. In occasione dell’ultima festa, celebrata l’anno scorso, padre Jacques aveva curato la cerimonia di Prima comunione per 13 bambini di Qaryatain, come pure una recita presentata da giovani cristiani e musulmani della località che intendeva essere, diceva il religioso, «un messaggio di amore e di speranza».  «La convivenza e il dialogo islamo-cristiano – spiegava – non li citiamo nemmeno perché sono una cosa evidente da noi, una realtà da sempre vissuta e che non abbiamo bisogno di promuovere».
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